Chang Song-thaek, ex numero 2 del regime nord-coreano e zio del leader Kim Jong-un, è stato giustiziato dopo essere stato espulso dal Politburo per “alto tradimento”. Il suo clamoroso arresto da parte di alcune guardie armate era avvenuto nel corso di una riunione del partito. L’agenzia di stampa del regime, la KCNA, ha affermato che giovedì di fronte a un tribunale militare Chang avrebbe confessato di avere cercato di rovesciare il regime, e che sarebbe quindi stato giustiziato immediatamente. Per il generale Carlo Jean, analista militare ed esperto di geopolitica, “l’uccisione di Chang Song-thaek è la conseguenza di un mero scontro di potere in un Paese la cui vita politica è congelata da 63 anni. La Cina non vuole intervenire su Pyongyang per chiedere di allentare un regime dispotico perché teme l’insorgere di disordini, che porterebbero a una riunificazione delle due Coree e a un allargamento della sfera d’influenza degli Stati Uniti”.
Generale Jean, qual è il significato politico dell’uccisione di Chang Song-thaek?
In passato Jang Song-Thaek è stato un personaggio importante all’interno del regime coreano, e a un certo momento Kim Jong-un se ne è voluto liberare. In questa sua decisione è stato forse influenzato dai generali nord-coreani cui il potente zio dava fastidio.
Si è trattato soltanto di uno scontro di potere o c’è alla base un’idea diversa di Corea?
Sono soltanto questioni di potere personale. In tutti governi dittatoriali e autoritari come la Corea del Nord, mantenere il potere politico e sopravvivere sono sinonimi e chi perde finisce giustiziato.
Ritiene che Kim Jong-un sia soltanto un burattino nelle mani dei militari?
Di certo la scomparsa dello zio mette maggiormente Kim Jong-un nelle mani dei militari. Il leader coreano non è un incapace e ha ricevuto una buona formazione, frequentando le migliori scuole svizzere e inglesi. Non è l’ultimo arrivato, ma verosimilmente l’eliminazione dello zio lo indebolisce.
Amnesty ha svelato l’aumento di prigionieri politici e campi di concentramento in Corea. E’ in corso un inasprimento della repressione?
In Corea del Nord continua ad avvenire quello che è sempre avvenuto. Un governo autoritario e dittatoriale, fortemente ideologizzato, nazionalista al limite del razzismo, ricorre sempre a questi metodi per rafforzare il suo potere. Un potere che si fonda in gran parte sulla paura che riesce a incutere sul resto della popolazione.
Quanto conta l’influenza della Cina sulla Corea del Nord?
L’influenza della Cina potrebbe contare molto. Pechino però è molto legata nelle sue mosse dal timore che un suo intervento possa provocare la caduta del regime, scatenando rivolte la cui conseguenza sarebbe l’assorbimento della Corea del Nord da parte della Corea del Sud.
Quali sono le ragioni di questi timori?
Seul è estremamente brillante dal punto di vista economico, e a ciò si aggiunge l’appeal del ritorno all’unità coreana. Se la Corea del Sud occupa la Corea del Nord, varcando il confine lungo il fiume Han, l’influenza degli Stati Uniti avanzerebbe a 200-300 chilometri da Pechino. Quello con la Corea del Nord è uno dei pochi tratti delle frontiere terrestri della Cina che non siano coperte da deserti, giungle e montagne.
Che cosa cambierebbe dal punto di vista economico nel caso di una riunificazione tra Corea del Sud e Corea del Nord?
La Corea del Sud è già oggi un gigante economico che fa parte del G20 e sta attraversando una fase di crescita molto forte. Nel caso si una riunificazione si rafforzerebbe ancora di più.
E dal punto di vista militare?
Gli Stati Uniti hanno 25mila soldati dispiegati in Corea, anche se questo tutto sommato dà una certa stabilità alla situazione militare e strategica della Penisola. L’America non intende minacciare militarmente la Cina, neanche indirettamente, ma sta di fatto che con una riunificazione delle due Coree si estenderebbe notevolmente l’influenza politica di Washington nel Pacifico occidentale.
Quale ruolo gioca la Russia in questa partita?
L’influenza della Russia sulla Corea è molto limitata. Nel 1950 la Cina intervenne in Corea su pressione di Stalin, che poi però si ritrasse dal conflitto lasciandovi Pechino impantanata al suo posto. L’Unione Sovietica non aiutò la Cina più di tanto e poi si oppose allo sviluppo del nucleare cinese. Da allora Mosca non è mai intervenuta direttamente nelle questioni che riguardano il Pacifico occidentale.
(Pietro Vernizzi)