Molte le promesse fatte dal nuovo presidente cinese Xi Jinping al momento della sua elezione per ampliare la democrazia, ma la realtà sembra andare in altra direzione. Non era mai successo prima infatti, neanche in periodi storici più oppressivi, che ai giornalisti cinesi venisse chiesto di svolgere un esame di marxismo; chi non fosse in grado di superarlo rischia di perdere tessera e posto di lavoro. Un tentativo evidente di aumentare il controllo sui media, come spiega l’agenzia Asianews che ha riportato la notizia: “è assolutamente proibito pubblicare commenti negli articoli pubblicati che vanno contro la linea del Partito” si legge nel manuale di circa 700 pagine su cui i giornalisti dovranno prepararsi per sostenere il test. E ancora: “la relazione fra il Partito e i media è quella che esiste fra chi conduce e chi viene condotto”. Una stretta ideologica che blocca sul nascere qualunque concessione alla libertà di stampa. Non è l’unico esempio in questo senso: il governo cinese cerca di ostacolare anche il lavoro dei giornalisti stranieri che lavorano in Cina. Inviati del New York Times e di Bloomberg News infatti non hanno più ricevuto il rinnovo del loro permesso di lavoro per ripicca dopo che erano stati pubblicati articoli sui guadagni economici dei parenti dell’ex premier cinese e di quello attuale. Da parte governativa, l’esame di marxismo viene giustificato come un tentativo di “migliorare la qualità dei giornalisti cinesi, incoraggiandoli a stabilire il socialismo come sistema chiave dei propri valori”.