Tutto ha avuto inizio nella Provincia di Cordoba, quando la Polizia provinciale si è rinchiusa nelle caserme reclamando aumenti salariali. Con un’azione ben calcolata gli agenti hanno abbandonato la custodia delle strade e dei luoghi pubblici della città mediterranea (Cordoba è chiamata così perché situata nel centro dei limiti iniziali dell’Argentina, ndr) approfittando dell’assenza del Governatore – in vacanza all’estero – e facendo circolare la notizia della mancanza di vigilanza nei quartieri più umili, dando praticamente il via libera a qualsiasi condotta antisociale.



E così in poche ore è scoppiato il caos dei saccheggi alle entità commerciali, comandato da venditori di droga a bordo delle loro motociclette, con un seguito di centinaia di delinquenti improvvisati che hanno messo in pratica degli espropri, portandosi a casa generi alimentari, anche alcoolici, indumenti, vestiti, scarpe e elettrodomestici.



Le immagini di commercianti che difendevano i propri negozi con fucili e armi varie e di cittadini comuni indignati che cercavano di evitare il saccheggio ci hanno tristemente riportato ad una realtà che credevamo propria dei film western. Una volta innescata, la miccia della protesta della polizia si è rapidamente estesa a venti delle ventiquattro provincie che compongono l’Argentina, nella maggioranza delle quali si sono ripetuti gli stessi episodi con un tragico saldo di morti e feriti.

Alla fine il ricatto dei corpi di polizia ha ottenuto il risultato auspicato, con un aumento considerevole degli stipendi in appena 48 ore, quando per altre realtà lavorative del Paese il raggiungimento di questi livelli retributivi, con sindacati legalmente costituiti, necessita dai 2 ai 3 anni di trattativa per realizzarsi.



Non è sbagliato pensare ad una manovra cospirativa per spiegare l’accaduto: è stato facile per la polizia far sentire le conseguenze della loro inazione per vedere realizzate le richieste. Al resto ci hanno pensato parte dei 900mila giovani tra i 16 e i 30 anni che non studiano né lavorano.

E’ chiaro che il Governatore della Provincia di Cordoba, Josè Manuel de la Sota, appartenente all’opposizione peronista, è in aperta rotta di collisione con il Governo per una causa multimilionaria che si svilupperà alla Corte Suprema: però non si cela nessuna azione del Governo nazionale dietro i gravi episodi della settimana scorsa. Se ci sono responsabilità da parte del kirchnerismo esse ridiedono nel consolidamento di questo esercito di esclusi, beneficiari di piani statali che offrono un’assistenza sociale meramente fine a se stessa, priva di qualsiasi proposta di inclusione nella società.

Sono giovani che hanno abbandonato gli studi, molti dei quali non sanno o non vogliono lavorare, ai quali i sussidi governativi garantiscono una sopravvivenza senza grandi prospettive in una società nella quale il mercato e la pubblicità li spingono verso il desiderio di un consumo sfrenato.

In pochi tentano di intraprendere un’attività: la maggior parte di loro passano il tempo annoiandosi, rispettando il solo dovere di partecipazione alle manifestazioni ufficiali organizzate dal potere. Altri si dedicano alla militanza sociale o politica o fanno carriera in organizzazioni dedicate al narcotraffico o in quelle delle bande di facinorosi al seguito delle squadre di calcio. Alla fine, creare seri problemi ad un Governatore appartenente all’opposizione sembra essere un peccato veniale.

L’altra grave responsabilità dell’attuale Governo consiste nell’aver favorito, durante tutti questi anni di potere kirchnerista, la cultura della minaccia unita a quella del ricatto, usati come mezzi di estorsione nei confronti di sindaci o governatori dissidenti, attraverso l’elargizione discriminatoria di fondi federali per la realizzazione di opere di pubblica utilità, “filosofia” confermata pure da  un dirigente sindacale, che adesso è passato all’opposizione e ha ammesso di aver potuto ricorrere sistematicacamente a blocchi di attività in imprese dove il controllo sindacale sfiggiva dalle mani delle organizzazioni controllate dal Governo, ottenendo il pieno appoggio del ministero del Lavoro.

Il Governo di Cristina Kirchner, la cui immagine attuale è rappresentata dal nuovo capo di Gabinetto Jorge Capitanich – uno dei pochi politici dell’officialismo ad aver ricevuto alti consensi nelle ultima elezioni, che è anche ad interim governatore della Provincia del Chaco – è subito intervenuto per negare ogni responsabilità degli incidenti dovuti all’ammutinamento della polizia dichiarando che erano in gioco questioni provinciali nelle quali il Governo centrale non doveva immischiarsi, se non dietro una esplicita richiesta del Governatore ricattato dalla polizia, fatto che avrebbe permesso l’intervento della Gendarmeria Nazionale per garantire l’ordine.

Il potere, quindi, ripete ciò che che meglio sa fare in occasioni del genere: non assumersi nessuna responsabilità, attribuendola ad altri, in pratica lavandosene le mani.

Recentemente l’Episcopato argentino, attraverso precise e coraggiose dichiarazioni, ha denunciato all’opinione pubblica il flagello della droga, rivelando che l’Argentina è passata da zona di semplice transito a paese vocato alla produzione, al frazionamento e alla distribuzione.

La penosa risposta del Governo alla durissima presa di posizione dei vescovi è stata l’elezione di un sacerdote della provincia di Santa Cruz con qualche esperienza accertata nel recupero di tossico dipendenti, a capo di un organismo federale che oltre al recupero di quanti cadono in questo flagello, deve occuparsi di combattere il narcotraffico; il governo, quindi, ha usato lo stesso metodo adottato per affrontare le proteste della polizia: dare la responsabilità della soluzione del problema a chi lo denuncia.

Nelle reti sociali sono circolate denunce anonime che incitavano la gente a nuovi saccheggi il 20 dicembre. Mentre la maggioranza della popolazione spera che si tratti di falsi allarmi per poter trascorrere in pace e in famiglia il Natale, bisognerà vedere quale sarà il comportamento del Governo nazionale e delle forze dell’ordine di fronte ad un’altra minaccia alla tranquillità e alle proprietà degli argentini.