Anche ad Abidjan, in Costa d’Avorio, c’è grande attesa per il Natale alle porte. Una palma al posto del tradizionale abete. Temperature sopra i 30° invece che freddo e neve. E pochi regali sotto l’albero per i giovani di Abobo, vasto quartiere popolare alla periferia di Abidjan, l’ex capitale, nell’estremo sud del paese. Qui l’Avsi è presente dal 2011 con un progetto cofinanziato dall’Unione Europea che si propone di migliorare le condizioni di vita di oltre 4000 giovani. Per molti di quelli che partecipano al progetto “Nuovi Orizzonti”, il Natale é soprattutto un’occasione di ritrovo, festa e convivialità, nei limiti delle loro scarse possibilità economiche. E nella speranza di un domani migliore.



Adam è uno di questi ragazzi: ha 15 anni, è apprendista meccanico in un piccolo garage di Abobo. I suoi genitori, analfabeti e non certo ricchi, l’hanno ritirato dalla scuola pubblica (che in Costa d’Avorio è obbligatoria e gratuita solo in teoria) dopo pochi mesi e molti castighi da parte del suo insegnante di prima elementare. A suo dire, questo bambino turbolento non avrebbe mai combinato nulla di buono nella vita.



Poi c’è Delphine. Con sei bocche da sfamare e nessun lavoro sicuro, suo padre non se l’é sentita di investire nell’istruzione della figlia: da qualche anno a questa parte la ragazza passa le sue giornate all’angolo di una strada, vendendo frutta e arachidi per contribuire alle spese della famiglia.

Anche Salimata in una scuola vera non ci é mai stata. Come tante altre ragazze musulmane, ha frequentato la scuola coranica del quartiere, imparando a recitare a memoria sure e versetti del Corano, ma non a leggere e a scrivere. Tutti le hanno detto che sarebbe inutile iniziare adesso, a 17 anni compiuti e con un bambino piccolo da accudire.



Le storie di Adam, Delphine e Salimata sono simili ahimè a quelle di tanti altri ragazzi di Abobo. Sembra incredibile che in una città moderna e sviluppata come Abidjan esistano ancora centinaia di giovani non scolarizzati; e il loro analfabetismo, purtroppo, costituisce una barriera contro cui si infrange il sogno di una vita migliore. Che prospettive esistono oggi per un ragazzo che non sa scrivere nemmeno il proprio nome? A quale impiego potrà mai aspirare? Come potrà costruirsi una coscienza critica, un giudizio indipendente, un’opinione propria, senza basi e senza educazione?

Le storie di Adam, Delphine e Salimata fortunatamente hanno un lieto fine. Insieme ad altri 200 giovani di Abobo che non hanno avuto accesso all’istruzione di base, sei mesi fa hanno iniziato un corso serale di alfabetizzazione funzionale, completamente gratuito. Un’attività che non era prevista dal progetto ma che AVSI ha fortemente voluto: impossibile rimanere indifferenti di fronte alle spaventose percentuali di giovani esclusi dal sistema scolastico! Nel nostro piccolo volevamo – dovevamo – fare qualcosa. Oggi, sui banchi lasciati liberi dagli studenti del mattino, siedono anche loro: Adam in tuta da lavoro e con le mani sempre sporche d’olio; Delphine, sorvegliando di tanto in tanto il paniere della frutta accanto a lei; Salimata, con il suo bébé saldamente ancorato sulla schiena.

In questo Natale mi vengono in mente i loro volti: l’ultima volta che sono andata a fargli visita a scuola, con orgoglio mi hanno mostrato i loro timidi progressi e la volontà di continuare anche a costo di sacrifici, frequentando un corso serale dopo le attività della giornata. Ho ripensato anche al gesto, semplice ma profondamente commovente, con cui hanno voluto esprimere la loro gratitudine per questa preziosa opportunità di “rimettersi al passo”. Al termine della visita, ciascuno ha scritto sulla sua lavagnetta, con un pezzettino di gesso bianco, la parola “GRAZIE”. Siamo noi che vi diciamo grazie, incredibili ragazzi di Abobo, perché con la vostra testimonianza coraggiosa ci insegnate che nella vita non bisogna mai arrendersi, e che una porta si aprirà sempre per colui che non perde la speranza.

Leggi anche

STAMINA/ Caterina: ecco perché ho deciso di vivere anche se so che non guariròFUGA DAL SUDAN/ Il carcere, la fame e gli amici: Junior e la speranza ritrovataLETTERA DAL CARCERE/ Il dolore di vivere il Natale in una cella