Maputo, capitale del Mozambico, terzo paese più povero del mondo. Negli ultimi anni, accanto alle baraccopoli sono sorti hotel a cinque stelle, palazzi con piscina sul tetto e in giro si vedono sempre più Mercedes, Hummer e Porsche. Gas carbone e oro, scoperti di recente, hanno portato nel paese grandi capitali stranieri. A Maputo, più di 800mila persone continuano a vivere in baracche senza pavimento, prive di fognature e drenaggi per l’acqua piovana. Con in più la minaccia della speculazione edilizia che erode il territorio delle baraccopoli pagando prezzi irrisori per costruire ville, centri commerciali e condomini garantendo redditi superiori a quelli di Londra (l’affitto di un appartamento di 100 mq va da 4.000 euro mensili in su). Agli “sfollati”, nel migliore dei casi, viene offerta una sistemazione a 10 km di distanza. C’è anche da considerare l’eredità storica, sociale e culturale di questa nazione, che fu colonia portoghese fino al 1975 e fu poi governata dal partito comunista (ora ex) da allora ininterrottamente al potere. Nelle baraccopoli permane un controllo sociale forse unico al mondo, gestito dai cosiddetti “capi di dieci case” che rispondono al “capo quartiere”, che risponde al capo del bairro, che risponde al capo del distretto, che risponde al sindaco. Tutte le vie della capitale portano ancora fieramente i nomi di un lontano passato: Lenin, Mao Tse Tung, Engels, Ho Chi Min, Kenneth Kauda, Karl Marx. Prima del comunismo, le strade principali erano intitolate alla Madonna di Fatima, al grande Sant’Antonio da Padova (che in realtà era portoghese purosangue), ecc.
Per il calendario mozambicano il 25 dicembre è la Festa della Famiglia. Il Natale ufficialmente non esiste come tutte le altre ricorrenze cristiane. Ma la fede e la tradizione nel popolo resistono da sempre. Così il potere ha dovuto dare un nome a questo giorno pur sempre speciale in cui tutti i mozambicani si ritrovano in una casa per condividere il cibo e momenti di festa. E il popolo delle baraccopoli non fa eccezione. Infatti, un abitante di Xipamanine o Chamanculo C non si alza alla mattina pensando di essere “un povero” o, peggio, uno degli “ultimi”, come in maniera offensiva e irrealistica i soliti benpensanti terzomondisti si ostinano a definirlo, dimenticando che il cuore dell’uomo è uguale a ogni latitudine e che – qui in modo molto evidente – la felicità non dipende dalla ricchezza. Malgrado le ristrettezze, nemmeno a Natale egli si sente tale. Non per mancanza di coscienza. Sa benissimo infatti, perché li vede tutti i giorni, che al centro di Maputo vivono connazionali immensamente ricchi che magari non hanno mai lavorato. Eppure considera “casa” la baracca in cui vive e ama il suo quartiere. Il suo problema di fondo è essere contento. Così cerca di dare un senso alla sua esistenza, alla stregua di un abitante di Beverly Hills, di Parigi o di Ginevra. Affronta la medesima quotidianità: trasporto per andare a scuola o al lavoro; problemi con la moglie, il marito o con il figlio; preparare la cena; divertirsi con gli amici. Chiaramente, tempi e modalità sono differenti, così come l’intensità dei problemi, primo tra tutti la disoccupazione e la difficoltà di garantirsi il pasto quotidiano.
Difficoltà che a volte paiono insormontabili, come per mamma Angelica. Un’esistenza da subito difficile la sua: rimasta orfana a soli tre anni, la zia con cui abitava ha cominciato a notare i gravi problemi alla vista che gradualmente l’hanno condotta, ventiseienne, alla completa cecità. Ha così inizio una condanna ancora più dolorosa: l’emarginazione. Tutti la evitavano. Quando è rimasta incinta anche il suo uomo, influenzato dalla famiglia che non voleva una non vedente in casa, si è allontanato. Sono arrivati perfino a offrirle dei soldi perché interrompesse la gravidanza. Abbandonata la casa dei suoceri, Angelica ha continuato da sola la sua strada. Nel luglio del 2008 è nata la piccola Sara. Angelica, piena di energia e al prezzo di grandi sacrifici è riuscita a costruirsi una casetta e a coltivare un orto di cui ancora oggi si prende cura personalmente e che le garantisce un piccolo introito giornaliero. Angelica però si sentiva spesso stanca e abbattuta. Preoccupata soprattutto per il destino della figlia.
La Provvidenza ha voluto che pochi mesi fa incontrasse padre Humberto, un missionario olandese da anni in Mozambico che, commosso dalla sua storia, le ha proposto di partecipare a un corso di scrittura braille e ha accolto la sua bambina al Centro Nutricional São Miguel, un asilo supportato da AVSI attraverso il progetto del Sostegno a Distanza. La piccola Sara ha oggi una madrina italiana che le permette di frequentare l’asilo mentre la mamma partecipa al corso per imparare a leggere e scrivere. La logistica familiare è parecchio complicata, ma Sara non ha mai fatto un giorno di assenza. Partono insieme la mattina all’alba. Prendono l’autobus e fanno un bel pezzo di strada a piedi, prendendosi cura l’una dell’altra. La piccola Sara è sempre pulita, ordinata e profumata. Quando è malata mamma Angelica la porta immediatamente dal medico. Queste premure, in un contesto di grave degrado sociale e familiare, costituiscono un vero miracolo! È incredibile osservare come una mamma cieca e sola riesca a prendersi amorevolmente cura della figlia. Sara ha solo 5 anni, ma capisce bene i sacrifici che la madre compie per lei ogni giorno; così la aiuta a salire e a scendere dal bus, ad attraversare la strada in zone trafficatissime, a non andare a finire dentro le pozzanghere o al fango. Ad Angelica e Sara si sono molto affezionati gli educatori di AVSI e Khandlelo che hanno preparato una grande festa natalizia e un piccolo regalo per tutti i bambini che frequentano il centro São Miguel. È attraverso la Bellezza, esempi come quello di Angelica e la cura di tutti i particolari, che si trasforma positivamente la realtà. Anche quella di una baraccopoli.