“Nel momento in cui le brigate cecene, pakistane, afghane e saudite fanno strage di civili siriani proclamando di agire per il bene della Siria, occorre evitare che il processo di pace di Ginevra 2 alimenti il progetto egemonico di qualcuna delle potenze occidentali”. Lo afferma il ministro della Difesa, Mario Mauro, secondo cui l’attentato di venerdì a Beirut, che ha provocato otto vittime e 70 feriti, nasce dallo stesso braccio di ferro tra sunniti e sciiti in atto in Siria, i cui protagonisti sono l’Iran, la Turchia, l’Arabia Saudita, il Qatar, Israele e la Russia. Per il ministro Mauro, “la priorità per l’Italia è rimettere al centro il futuro dei civili siriani e libanesi. Anche per questo le truppe italiane presenti in Libano inizieranno presto l’addestramento dell’Esercito di Beirut”.

Ministro Mauro, qual è il significato di questo impegno dell’Italia alla luce degli ultimi attentati in Libano?

Le truppe italiane procederanno nell’attività formativa dell’Esercito libanese che ci è stata esplicitamente richiesta da mesi ed è vista con favore da parte dei Paesi che in questo momento sono impegnati nel sostegno a Beirut. Il Libano subisce la ricaduta del conflitto siriano, con oltre un milione di profughi presenti nel Paese che stanno portando al collasso la vita istituzionale e la convivenza civile. In uno Stato con 4,5 milioni di cittadini sono storicamente presenti decine di migliaia di profughi dalla Cisgiordania, cui si sono aggiunti altri 50mila rifugiati palestinesi provenienti dalla Siria. Ciò sta determinando una vera e propria congerie di rigurgiti estremisti, che vanno a complicare lo stato dei rapporti tra la Coalizione del “14 marzo” e lo schieramento politico vicino ad Hezbollah. L’attentato di venerdì non è altro che la conseguenza di questo stato di tensione crescente e preoccupante.

Dalle attività di intelligence del nostro Paese, risulta che dietro l’attentato ci sia Hezbollah?

Mi sembra presto per trarre delle conclusioni, mentre è più utile analizzare le diverse componenti presenti sul campo. Hezbollah controlla una parte significativa del Paese ed è impegnata al fianco di Assad nella lotta contro l’opposizione siriana. In questa circostanza storica il partito sciita libanese ha fatto due scelte senza precedenti: per la prima volta combatte al di fuori del Libano ed è impegnato in una guerra di conquista. La tradizionale affermazione di Hezbollah di concepirsi come un movimento per l’indipendenza del Libano cede il passo di fronte a una strategia internazionalista che mira a rafforzare gli sciiti nel braccio di ferro contro i sunniti.

Chi sono i protagonisti di questo braccio di ferro? 

Si tratta dell’Iran, della Turchia, dell’Arabia Saudita e del Qatar. Sullo scacchiere sono inoltre presenti Israele nonché la Russia, la cui presenza nella base navale di Tartus incide non poco sugli equilibri dell’area. In uno scenario di questo tipo rimane molto alta la possibilità che in Libano si verifichino attentati mossi dall’uno o dall’altro dei protagonisti, o addirittura che vi siano attentati provocati ad arte per gettare la colpa sull’uno o sull’altro. In questa intricata vicenda di violenza bisogna prestare molta attenzione per proporre delle adeguate soluzioni di carattere politico. Il ruolo dell’Italia, dell’Europa e della comunità internazionale deve essere capace di intelligenza e nello stesso tempo mettere in campo una forte determinazione per trovare soluzioni condivise.

 

Il coinvolgimento dell’Iran nei colloqui di Ginevra 2 sulla Siria può segnare una svolta nelle relazioni, anche politiche ed economiche, tra Teheran e Occidente?

A mio modo di vedere vanno coinvolti tutti gli attori che ho citato prima, tra cui anche l’Iran, ma con un’attenzione particolare. La conferenza di Ginevra 2 non deve essere un tavolo in cui si cerca la soluzione ai problemi e ai progetti di potere di coloro che sono responsabili dello stato di confusione in cui versa la Siria. Al tavolo di Ginevra 2 vanno messi innanzitutto i siriani, perché siano capaci riconciliandosi di promuovere le condizioni di un nuovo dialogo. E’ la Siria il primo interesse di una strategia di pace, non l’ombra delle potenze regionali vicine.

 

I colloqui di pace possono bastare a trovare una soluzione, nel momento in cui il vero protagonista in Siria sono le milizie di Al Qaeda?

Se si trova una soluzione tra i siriani, il primo problema che si porrà ciascuno di loro sarà quello di mettere fuori gioco le brigate straniere che occupano il loro Paese.

 

Venerdì in Afghanistan tre militari Isaf sono stati uccisi e una base italiana è stata attaccata. La missione Isaf è stata un fallimento?

Questo della sconfitta dell’Occidente è soltanto un mito. In realtà in Afghanistan sta ragionevolmente operando uno Stato di diritto e a breve si terranno le elezioni politiche. E’ vero che esiste un enorme problema di sicurezza, ma la missione Isaf non sta ottenendo risultati solo sul piano militare bensì anche per quanto riguarda lo sviluppo economico e sociale dell’Afghanistan. Lo documenta il fatto che siamo passati da 800mila studenti di solo sesso maschile del 2001 a 9 milioni di cui il 40% sono donne.

 

Che cosa può fare sì che l’Italia torni a giocare il ruolo che aveva un tempo in Medio Oriente? 

Purtroppo con la Seconda Repubblica l’Italia ha smesso di fare politica estera, in quanto la violenza del sistema bipolare ci tiene costantemente inchiodati su vicende di cortile. Il futuro dell’Italia è nel suo ruolo chiave al centro della regione euromediterranea. Ben lo sa il governo Letta per gli impegni che ha assunto rispetto alla Libia all’ultimo G8.

 

In che modo quindi l’Italia può recuperare la sua influenza in questa regione?

In primo luogo tornando a porsi il problema dell’esistenza dell’area euro mediterranea. Gli Stati dal Marocco alla Turchia, Israele incluso, rappresentano un mercato da quasi 350 milioni di persone, che non arriva però al 70% dell’economia italiana. Dal punto di vista degli investimenti da realizzare, della presenza delle nostre imprese, dei rapporti diplomatici, è dunque questo il luogo dove dobbiamo arare e seminare per poter domani raccogliere.

(Pietro Vernizzi)