“Gli scontri all’interno dell’Università di Al-Azhar si spiegano con il fatto che l’Egitto si sta avviando a una nuova fase politica dal significato storico. Anche a prescindere dalla legge per dichiarare fuorilegge i Fratelli musulmani, il referendum del 14 gennaio sulla nuova Costituzione potrebbe mettere la parola fine alle rivendicazioni del partito di Morsi”. Lo sottolinea Wael Farouq, intellettuale egiziano di spicco, professore all’American University del Cairo. Ieri uno studente è rimasto ucciso durante i tafferugli tra i sostenitori dei Fratelli musulmani e la polizia all’interno del campus universitario di Al-Azhar. Soltanto un preludio di quanto potrebbe avvenire in gennaio, quando oltre al referendum ci saranno anche la riapertura del processo contro Morsi e il terzo anniversario della rivoluzione contro Mubarak.
Professor Farouq, qual è il significato degli scontri di questi giorni nell’Università di Al-Azhar?
A lungo quella di Al-Azhar è stata l’università preferita da parte degli studenti che appartengono ai Fratelli musulmani. Gli scontri sono iniziati quando questi studenti hanno impedito agli altri di accedere agli esami e altre attività legate allo studio. Quando le forze di sicurezza civili dell’Università non sono riuscite a fermare gli scontri, è stato richiesto l’intervento della polizia. Per reazione gli studenti dei Fratelli Musulmani hanno incendiato due edifici del campus universitario.
Il 14 gennaio prossimo inoltre si terrà un referendum sulla Costituzione, il cui esito potrebbe essere quello di mettere fine alle rivendicazioni di legittimità da parte dei Fratelli musulmani. Questi ultimi stanno quindi tentando di boicottarlo e forzare altre persone a fare lo stesso, oppure a “scioperare”, perché se la maggioranza degli egiziani si esprimerà a favore della nuova Carta fondamentale dello Stato, gli islamisti saranno messi a tacere.
Che cosa ne pensa dell’attuale fase che sta attraversando l’Egitto?
L’attuale fase è complicata sotto diversi punti di vista. Quanto è avvenuto lo scorso 30 giugno è stata una sollevazione popolare contro il modo in cui i Fratelli musulmani avevano gestito il potere durante la presidenza di Morsi. L’estrazione politica e culturale dei manifestanti era però molto variegata: una parte era composta da quanti il 25 gennaio 2011 erano scesi in strada contro Mubarak, ma in molti erano invece i cosiddetti “feloul”, cioè le persone legate allo stesso ex Rais.
Chi si sta confrontando sulla scena politica egiziana?
In questo momento, nella società egiziana, si confrontano tre forze: il vecchio regime, gli islamisti e i rivoluzionari, che sono il gruppo più numeroso. La complicazione attuale è la stessa che c’era nel giugno 2012, in concomitanza con il secondo turno delle elezioni presidenziali, quando ognuno votò contro ciò che temeva di più: il ritorno del vecchio regime con il candidato Ahmed Shafiq o l’ascesa dell’islamismo con Mohammed Morsi. Oggi, nel referendum, la gente voterà di nuovo contro ciò di cui ha più paura, invece che per ciò che veramente vuole.
Secondo lei come andrà a finire?
È un fatto che i rivoluzionari, cioè i giovani democratici e liberali che credono in tutti i nobili valori i quali hanno ispirato le manifestazioni di piazza Tahrir del 25 gennaio 2011, non possono vincere nell’immediato futuro. Ma è un fatto anche che nessuno può vincere senza il sostegno dei rivoluzionari. Questi ultimi sono troppo deboli per vincere, ma l’impossibilità per chiunque altro di vincere senza il loro sostegno dà loro l’opportunità di guadagnare più terreno in futuro.
Dopo la caduta di Morsi, i Fratelli musulmani sono ancora una minaccia per la democrazia?
Quando un certo numero di persone blocca le strade, o impedisce agli studenti di accedere alle classi per tenere gli esami, o picchia i professori perché non tengano le lezioni, o uccide un taxista che tenta di attraversare una manifestazione, questa è una minaccia per la democrazia. Proprio a causa di queste azioni, sempre più egiziani accettano il ritorno di uno Stato di polizia.
La maggioranza dei rivoluzionari è favorevole a porre fine a qualsiasi ruolo politico dei Fratelli Musulmani e alla strumentalizzazione della religione per scopi politici. Lo considerano un passo avanti sul cammino della rivoluzione. Sfortunatamente, però, la strumentalizzazione della religione ora proviene dalla parte opposta.Un’ampia fetta dello schieramento rivoluzionario inoltre, alla luce dei fatti descritti sopra e di quanto è avvenuto sotto il governo di Morsi, mira a mettere fine al movimento dei Fratelli musulmani con una legge che li dichiari illegali e li consideri alla stregua di un gruppo terrorista.
Personalmente, io sono fortemente contrario a qualsiasi tipo di oppressione delle libertà e dei diritti di qualsiasi cittadino egiziano, ma sono favorevole a considerare l’ideologia dei Fratelli Musulmani nello stesso modo in cui è considerata in Germania l’apologia del nazismo, perché la letteratura e la storia della Fratellanza sono, e sono sempre state, associate a violenza e discriminazione nei confronti del diverso. Io condanno con forza il terrore scatenato dai Fratelli Musulmani e dalle sue varie ramificazioni contro la popolazione egiziana e il suo esercito. Al tempo stesso, però, sono contrario alla politica di punizione collettiva perpetrata dalle autorità egiziane ai danni dei membri della Fratellanza.
In questo contesto, qual è il progetto dell’Esercito e in particolare del generale Abdel Fattah El-Sisi?
Occorre distinguere tra quanto è stato effettivamente fatto dall’Esercito e la propaganda messa in campo da uomini d’affari legati all’ex regime di Mubarak. Nei fatti i militari non stanno appoggiando nessuna delle forze sul terreno, e non sono né a favore né contro la rivoluzione. L’unico “progetto” dell’Esercito è quello di fare funzionare la macchina dello Stato, cercando di proteggerla dal collasso. Detto ciò si devono fare due osservazioni: la prima è che mantenere lo Stato funzionante così com’è implica in qualche modo sostenere il vecchio regime; la seconda è che l’esercito non sta lavorando per rispondere alle richieste della rivoluzione, ma per raggiungere un compromesso fra le differenti forze nella società.
L’esempio più chiaro è ciò che è successo con la stesura della nuova Costituzione. Per raggiungere un compromesso con il partito salafita al-Nour, anziché scrivere che “l’Egitto è uno Stato laico”, al termine di lunghi negoziati si è inserita la formulazione “l’Egitto è uno Stato con un sistema di governo laico”. Poi si è cambiata ancora la stesura definitiva in “l’Egitto è uno Stato con un governo (cioè un esecutivo) laico”, il che è ben diverso dall’affermare che l’ordinamento dello Stato in quanto tale è laico. Questi “equilibrismi” documentano che l’Esercito non è a favore né dei liberali, né degli islamisti, né i sostenitori di Mubarak, ma semplicemente che sta cercando di difendere le istituzioni. Ciò, tuttavia, va contro gli obiettivi della rivoluzione, perché questi non saranno raggiunti attraverso il compromesso con le forze antirivoluzionarie.
(Pietro Vernizzi)