“L’assassinio del comandante di Hezbollah, Hassan Lakkis, documenta ancora una volta che il Libano non è altro che una cassetta postale delle potenze regionali che vi recapitano con cadenza regolare i loro omicidi politici. E’ possibile che gli esecutori materiali dell’omicidio non siano stati i sicari dello Stato ebraico, ma è sempre più evidente che il Libano, proprio come la Siria, è un fazzoletto di terra sul quale le grandi potenze si disputano i loro interessi”. Ad affermarlo è Camille Eid, cristiano libanese, professore dell’Università Cattolica di Milano e giornalista di Avvenire, dopo che il comandante del gruppo militante di fede sciita è stato assassinato vicino a Beirut. Hezbollah si è affrettato ad accusare Israele, che ha però smentito il suo coinvolgimento. Lakkis era ritenuto una figura molto vicina al leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, nonché un esperto in fabbricazione di armi. La notizia giunge un giorno dopo che lo stesso Nasrallah ha affermato che dietro l’attentato contro l’ambasciata iraniana a Beirut di novembre ci sarebbe l’Arabia Saudita.
Professor Eid, esiste una rivendicazione attendibile di questo attentato?
Per ora c’è soltanto una presunta rivendicazione da parte di un fantomatico gruppo sunnita libanese. In un commento su un blog arabo, qualcuno giunge a ipotizzare che Lakkis sarebbe stato ucciso perché si opponeva al coinvolgimento dei militanti libanesi in Siria. Potrebbe trattarsi di una faida all’interno di Hezbollah, anche se io personalmente lo escluderei perché il gruppo di Hassan Nasrallah ha altri mezzi per zittire le persone anche senza eliminarle fisicamente.
Hezbollah ha accusato Israele di essere dietro a questo assassinio. Che cosa ne pensa di questa ipotesi?
Nel gergo locale quella di Hezbollah si chiama un’”accusa diplomatica”. E’ vero che Israele non può essere sempre dietro a tutti gli attentati di questo tipo, ma l’uccisione di Lakkis è nell’interesse di Israele. Anche l’Arabia Saudita per esempio è in rotta di collisione con Hezbollah, e lo stesso vale per l’opposizione siriana, ma l’azione di ciascuna di queste due componenti va a vantaggio di Israele.
In che senso Israele se ne avvantaggerebbe?
Hezbollah continua a ritenersi il paladino della resistenza contro lo Stato ebraico, e la stessa accusa nei confronti di Israele è stata messa in campo in occasione dell’attentato contro l’ambasciata iraniana a Beirut. Secondo una frangia all’interno della stessa Hezbollah, la scelta del movimento sciita libanese di accusare Israele non sarebbe altro che un escamotage per evitare di cadere nel tranello del conflitto tra sciiti e sunniti interno al Libano.
Com’è in questo momento la situazione politica a Beirut?
Il governo di Najib Mikati è dimissionario già dal mese di marzo. Il nuovo incarico è stato affidato a Tammam Salam, un politico sunnita che non è stato in grado di fare un solo passo in avanti. Le elezioni legislative sono state rinviate all’anno prossimo, e il timore è che alla scadenza del mandato presidenziale di Michel Suleiman ci sia una proroga del suo stesso incarico.
Com’è invece la situazione militare nel Paese?
Negli ultimi giorni abbiamo assistito alla diciottesima tornata di scontri tra il quartiere sunnita e quello alawita della città di Tripoli. Si sono registrati 11 morti e una decina di feriti, e martedì è stato affidato per la prima volta l’incarico all’Esercito libanese di comandare tutti gli altri apparati con il compito di tenere la sicurezza per la durata di sei mesi.
Quali sono le conseguenze per il Libano della guerra in Siria?
Il Libano sta subendo un flusso di un milione di profughi siriani su una superficie pari a metà della Lombardia e con una popolazione di cinque milioni di abitanti. Per fare le proporzioni, è come se arrivassero in Italia 12 milioni di profughi dai Balcani.
Il blocco politico del Libano dipende dalla vicina guerra in Siria?
La formazione del governo libanese è bloccata anche perché i partiti aspettano di capire l’andamento della guerra in Siria. Si tratta però di un conflitto destinato a durare ancora a lungo, e fino alla conferenza di Ginevra del 22 gennaio difficilmente a Beirut si muoverà foglia. Tutto è condizionato, e il Libano si trova a essere o la cassetta postale degli attentati degli Stati regionali, o un grande congelatore in cui qualsiasi azione politica è bloccata. Il governo si limita per ora a far funzionare i servizi minimi essenziali dello Stato. Hezbollah è legato a doppio filo all’Iran.
L’ascesa al potere del presidente Hassan Rouhani ha attenuato le posizioni del partito libanese?
No. La Russia preme per una partecipazione di Tehran alla conferenza di Ginevra sulla Siria, mentre altri Stati si oppongono, e quindi la soluzione è aperta a tutte le ipotesi. Nel frattempo però Hezbollah non ha attenuato come ha fatto l’Iran il suo discorsi nei confronti degli argomenti politici che animano il Medio Oriente. Se Tehran ha dimostrato una certa flessibilità diplomatica per poter ottenere la riduzione delle sanzioni, nel frattempo Hezbollah non ha fatto alcun passo indietro né ha rinunciato a un coinvolgimento militare sul fronte siriano. Anzi, dopo ciascun attentato che lo prende di mira, dichiara riferendosi ai suoi militanti in Siria: “Se erano mille diventeranno 2mila, se erano 2mila diventeranno 5mila”.
(Pietro Vernizzi)