In  America si continua a sparare ed uccidere. Sembra quasi una perversa legge del contrappasso: più si infiamma il dibattito sull’uso delle armi da fuoco, più le armi da fuoco mietono vittime.

Una sinistra cultura della morte, giorno dopo giorno, tragedia dopo tragedia, conquista la scena. Dove si annida questa cultura della morte? Sulla canna dei fucili finiti in mano alle persone sbagliate? Solo uno sciocco può pensare che alla radice di tutta questa violenza stia la corretta interpretazione di quel benedetto secondo emendamento, e conseguentemente l’adeguatezza delle norme così che si impedisca che le armi finiscano in mano ai “cattivi”.



Già, e chi sono “i cattivi”? Perché, essendo noi i “buoni”, da qualche altra parte devono esserci i “cattivi”. Deve pur essere colpa di qualcuno o qualcosa! Quando c’è un “nemico”, quando “i cattivi” sono individuati, la vita è più facile. Basta schierarsi dalla parte dei giusti ai quali, ovviamente, apparteniamo per diritto ereditario.



Guardiamo un attimo ai tragici protagonisti di questi ultimi fatti. Un veterano perso nel suo non-mondo, un ex poliziotto senza più lavoro e senza nessuno. Da quel che si legge sui giornali è molto facile osservare che ci troviamo di fronte a degli sconfitti. “Losers”, come si dice qua, perdenti, uomini che cercano di conquistarsi un po’ di giustizia piantando i denti dove capita per strappare agli altri, a morsi, quel che loro non hanno: una vita. Sono questi “i cattivi”?

Non sono certo i Jimmy Dykes e i Christopher Dorner gli artefici della cultura della morte. Il veterano dell’Alabama e l’ex cop di Los Angeles ne sono le prime vittime, e quindi i primi carnefici. Pensiamoci un attimo. Non è forse vero che siamo violenti quando sappiamo – anche se non l’ammetteremmo mai – di essere deboli, esposti, fragili, quando ci manca la terra sotto i piedi, quando abbiamo paura che qualcosa ci venga tolto e non sappiamo neanche che cosa, quando, per farla breve, non sappiamo cosa ci facciamo a questo mondo? Si, ne abbiamo già parlato commentando fatti tristemente analoghi, “noi, che non abbiamo ucciso”… Ma allora, dove si radica questa maledetta cultura della morte?



So che tanti cattolici americani risponderebbero che la piaga di questa società è l’aborto. Ma l’aborto non è piovuto dal cielo (o emerso dagli inferi). L’aborto l’hanno creato gli uomini, l’ha legalizzato questa società. L’aborto è come i Dykes o i Dorners, frutto di una amore alla vita che non c’è, manifestazione suprema di una debolezza, di una meschinità, di un misero (apparente) tornaconto personale, di una riduzione violenta del dono più grande che ci è fatto. Certo, avere sempre davanti agli occhi esempi di questa cultura di morte porta danno, perché si impara da ciò che si vede. Ma c’è qualcosa che viene prima, anzi, dovremmo dire “qualcosa che manca prima”. C’è qualcosa che manca alla coscienza di sé.

Non é una questione di norme e leggi. Le leggi le fanno gli uomini, le leggi non salveranno il nostro cuore.
Tutti cerchiamo, tutti vorremmo, soluzioni rapide ed efficaci, risposte puntuali ed adeguate che ci risparmino le sofferenze che la violenza sempre genera. Non ci sono. C’è solo il cammino personale che seguendo testimonianze di amore alla vita, per grazia di Dio sempre presenti tra noi, diventa opera comune per il bene di tutti.