C’è anche un ingegnere italiano tra i sette stranieri sequestrati ieri nel nord della Nigeria, nello Stato del Bauchi: si tratta di Silvano Trevisan, 69 anni, originario di Santo Stino di Livenza, comune in provincia di Venezia di circa 13mila abitanti, ma da molto tempo lontano dall’Italia per lavoro. Sembra infatti che nel Paese africano l’uomo si occupasse di strade e infrastrutture. Nella notte di sabato uomini armati hanno dapprima tentato un attacco contro una prigione a Jama, ma sono stati respinti. Successivamente si sono allora introdotti in un cantiere, dove hanno ucciso una guardia del corpo e portato via i sette stranieri. Dietro il sequestro, secondo quanto riferito dalla polizia locale, potrebbe esserci il fondamentalismo islamico del gruppo Boko Haram, ma al momento le notizie appaiono ancora molto incerte. Il ministro degli Esteri Giulio Terzi segue ovviamente da vicino il rapimento del connazionale: dalla Farnesina si apprende che, attraverso l’ambasciatore ad Abuja, l’Italia è in contatto con le autorità nigeriane alle quali è stato ribadito che “la priorità assoluta è l’incolumità del connazionale”. Attivata l’unità di crisi, la diplomazia italiana è attualmente al lavoro sia attraverso il consolato a Lagos sia attraverso l’ambasciata ad Abuja. In attesa di ulteriori aggiornamenti, abbiamo chiesto un commento a Carlo Biffani, direttore generale di Security Consulting Group e presidente di Assosecurnav.



Come mai avvengono rapimenti di questo tipo?

Il sequestro di persone in aree a medio e alto rischio, in particolar modo di espatriati stranieri, sta diventando ormai un fenomeno sempre più diffuso. I motivi per cui tali rapimenti avvengono dipendono più che altro dal tipo di gruppo criminale che li mette in atto, ma attraverso queste operazioni si cercano principalmente ritorni mediatici o economici.



Cosa può dirci invece della Nigeria?

Il Paese non è affatto nuovo ad attività di questo tipo. I rapimenti sono frequenti, avvengono da almeno 20 anni e prendono di mira quasi sempre espatriati stranieri, soprattutto quelli che lavorano nelle compagnie petrolifere.

Come mai?

Perché in Nigeria si vengono spesso a creare contrasti tra la popolazione locale e le compagnie petrolifere stesse, quindi parliamo di piccole o grandi rivendicazioni, proteste legate allo sfruttamento del territorio e così via. Oppure, in casi più gravi, dietro tali azioni vi possono essere anche volontà terroristiche legate al mondo del fondamentalismo islamico, fenomeno che in Nigeria si sta presentando con una certa frequenza da almeno 3-4 anni.



E’ stato detto che durante il rapimento ha perso la vita una guardia del corpo. Chi sono solitamente queste persone?

Soprattutto persone locali che vengono ingaggiate dalle aziende. Questo avviene semplicemente perché agli stranieri non è permesso essere armati, a meno che non venga concessa una specifica autorizzazione dal governo locale che però è spesso molto difficile da ottenere. La Nigeria da questo punto di vista rappresenta però un’eccezione, visto che in molti casi agli stranieri che lavorano in qualità di security advisor per conto di compagnie internazionali, è a volte concesso il possesso di armi da fuoco.

Quanto sono preparate queste guardie?

Difficilmente si tratta di uomini molto addestrati, anche se poi dipende dalla situazione in cui devono operare. Solitamente, quando leggiamo di guardie ingaggiate per sorvegliare un cantiere o un’abitazione, in realtà stiamo parlando di un sorvegliante, un guardiano, più che di un vero e proprio professionista.

Come le sembra invece il “modus operandi” di questi rapitori? 

Da quello che abbiamo potuto apprendere, sembra che il gruppo armato avesse un obiettivo inizialmente diverso, quello della prigione. Solo dopo essere stato respinto ha pensato di prendere di mira il cantiere, con la chiara intenzione, quindi, di voler comunque fare danni. Il cantiere, inoltre, è un luogo a volte più semplice da prendere d’assalto, anche se dipende dal tipo di area nel quale si trova.

 

Cosa intende?

Alcune zone di lavoro sono centrali e ben controllate dalle forze armate locali, altre sono invece stazioni dislocate in mezzo al nulla, nella foresta, molto più complesse da controllare e proteggere. Non è assolutamente detto, quindi, che il gruppo armato fosse particolarmente addestrato o preparato per avere la meglio su uno sparuto gruppo di guardiani e sorveglianti. Non è però raro neanche il caso che alcuni luoghi siano presidiati da realtà governative.

 

Cosa può dirci invece dei riscatti?

Le somme richieste spesso non sono esorbitanti e il fatto che alcuni stranieri vengano sequestrati è assolutamente “consueto” in quelle zone. La gravità del gesto non viene realmente compresa e, in alcuni casi, il rapimento viene anche considerato come l’unico modo per essere ascoltati.

 

L’Italia paga i riscatti più degli altri Paesi?

Tutti i Paesi pagano, sempre. Certo, si tenta di dare scarsa visibilità all’avvenuto pagamento, ma è impensabile che gruppi terroristici o criminali di questo tipo, che non si fanno scrupoli a sequestrare persone straniere, possano liberare gli ostaggi attraverso qualcosa che non sia o il pagamento di un riscatto oppure una dura azione delle forze dell’ordine locali.

 

Cosa crede sia necessario fare tentare di limitare questi rapimenti?

Da parte degli italiani vi è spesso una scarsa cultura della prevenzione e un altrettanto scarso utilizzo di realtà in grado di fornire difesa e protezione. Anzi, spesso si preferisce agire attraverso altri metodi di difesa decisamente biasimevoli. Episodi come questo indicano chiaramente che qualcosa non va come dovrebbe andare, quindi sono dell’idea che si dovrebbe fare tutto ciò che è possibile per far si che società come la nostra possano agire all’interno di regole ben definite e che siano aiutate e supportate dallo Stato, nel proporre i loro servizi alle aziende nazionali che operano in teatri di crisi.

 

Cosa permetterebbe questo?

Significherebbe maggiore protezione per il personale espatriato, minor rischio di sequestri e di possibili crisi internazionali legate alla gestione ed agli esiti di tali situazioni, ed una più capillare e diffusa presenza di soggetti in grado di fornire dati di intelligence al sistema di difesa del Paese. Basti pensare al ritorno informativo che ha il governo inglese, grazie alla presenza in paesi a rischio di centinaia di ex appartenenti alle FFAA e dell’ordine alle dipendenze di compagnie private di sicurezza. Personale addestrato, competente e fidelizzato, che pur essendo passato alle dipendenze del settore privato, di certo ha le capacità per utilizzare occhi ed orecchie anche a vantaggio del “pubblico”.

 

(Claudio Perlini)