Dopo l’attentato al nostro console a Bengasi e l’escalation militare in Mali, la stabilizzazione della Libia e dell’intero Maghreb è tornata di drammatica attualità. Vale la pena di ricordare che l’Italia ha un interscambio commerciale con la sponda Sud del Mediterraneo di 57 miliardi l’anno, e che è uno dei primi partner economici di ogni Paese dell’area. Bastano questi numeri a metterci di fronte alla verità per cui la loro sicurezza è anche la nostra. L’instabilità politica innescata dalle “Primavere arabe” e l’avanzata degli islamisti hanno creato una sorta di “buco nero” in un’area dove non c’è soltanto il Mali, ma una vasta zona grigia.
L’Italia ha il compito di “presidiare” attivamente quest’area, e in particolare di sostenere il processo di stabilizzazione della Nuova Libia. La relazione tra i due Paesi è strettissima e va oltre il semplice “scambio” energetico; e il 2011 ha rappresentato solo l’ultimo di una lunga serie di insoliti parallelismi nella storia delle popolazioni di queste due terre. Sia Roma che Tripoli hanno conosciuto, in presenza di condizioni estremamente diverse, e sotto forme altrettanto eterogenee, importanti mutamenti politici nel corso della stagione più recente. In particolare la Libia ha affrontato un vero e proprio cambio di regime, con la fine di un pluridecennale sistema di potere antidemocratico e l’avvio di una nuova stagione politico-istituzionale in cui sia il popolo libico, sia l’intera comunità internazionale, hanno riposto grandi aspettative.
L’ordinato svolgimento della tornata elettorale che nel luglio scorso ha visto i cittadini libici scegliere alle urne i propri rappresentati nel ricostituito Parlamento di Tripoli rappresenta il segnale dell’esito positivo finora ottenuto da un processo di ricostruzione nazionale iniziato poco più di un anno fa. Al pari, la formazione in autunno del governo di Ali Zeidan – il primo, dal 1969, a godere della legittimazione parlamentare – conferma la corretta prosecuzione di tale processo e del cammino verso la completa pacificazione del Paese. È chiaro che in questo processo ci sono tante ombre e incognite.
Un originale punto di vista per esplorare queste dinamiche è offerto dalla mostra “Anime di materia”, un importante evento culturale promosso da HRS (spin off dell’università di Bologna, attivo in Libia fin dai primi giorni della rivoluzione), ospitato a Roma, nel complesso del Vittoriano, fino al prossimo 28 febbraio. Si tratta dell’esposizione delle opere di Ali WakWak, considerato il maggiore artista libico contemporaneo. Lo scultore si serve del legno e del ferro per raccontare la sua passione, il suo pathos, la sua affezione dell’anima che trova corpo per mezzo della materia.
Le sue esperienze, la sua vita trascorsa in una nazione attraversata da una storia dolorosa, personale e collettiva, danno ulteriormente forma alla materia, raggiungendo un significato ancora più tangibile: uomini, donne e animali fatti di elementi surrogati di guerra. Ali si avvale dell’arte quale arma universale e non smette di sognare e sperare, facendo della sua guerra personale una lotta silenziosa.
A latere della mostra, gli enti organizzatori hanno voluto realizzare (per lunedì 18 febbraio, dalle ore 9.30, presso l’Aula Organi Collegiali della “Sapienza”) una tavola rotonda dal titolo Le relazioni italo-libiche. Tra storia e prospettive di collaborazione nella macro-regione del Mediterraneo. L’incontro sarà concettualmente diviso in due parti. Nella prima saranno affrontate le dinamiche legate alla formazione della Libia come soggetto politico unitario e alla sua collocazione internazionale dopo l’indipendenza. Nella seconda parte saranno analizzati il collegamento tra la guerra civile e la missione internazionale della Nato e la fase di normalizzazione che il Paese sta attualmente attraversando, con particolare attenzione al meticoloso lavoro diplomatico intessuto tra l’Italia e la Libia.
Salvatore Santangelo