La vulgata vuole una Germania preda delle sue pulsioni luterane che la portano a considerare “l’economia una branca della filosofia morale”. Con la conseguenza che le posizioni espresse sullo scacchiere europeo da quel paese risponderebbero a logiche “irrazionali” di “giustizia retributiva” a cui il suo governo non potrebbe sottrarsi per la pressione della sua opinione pubblica.
Fior di editorialisti -e politici di primo piano- hanno nel pieno di questa crisi alimentato questa parodia della realtà accusando la classe dirigente di quel paese di “miopia”, distonico “bipolarismo”,“bieco egoismo nazionale” contrapposto ad una visione solidaristica dei rapporti trans-europei. Il tutto dettato dall’ombelico della sua constituency e dalle prossime elezioni generali.
Fumo. Sebbene non possa escludersi che larghe fette di popolazione tedesca provino il sottile piacere della formica ad infliggere qualche (pedagogica) sofferenza alla cicala, la chiave di lettura sopra tratteggiata si muove in superficie ed è quanto meno parziale. L’arrosto è che gli Stati si muovono nello scacchiere internazionale mossi da interessi e scenari strategici. Gli appelli alla solidarietà, espressi anche da posizioni minoritarie in Germania quale riflesso inconsapevole di ideologie politiche, che avrebbero possibile legittimazione sul piano degli ordinamenti interni, sono nei rapporti tra Stati del tutto incongrui.
Nelle analisi più accorte era già balenato il sospetto che l’apparenza di una ideologia del rigore, cieca ed irrazionale, nasconda invece un disegno lucido. Secondo taluni egemonico.
Fermandosi ai fatti, noti e macroscopici, la Germania ha condotto una partita vincente su diversi tavoli. Sul tavolo finanziario ha ricevuto un costante flusso di capitali ed ha stabilizzato ad un livello irrisorio (su alcune scadenze negativo) i tassi del suo debito. Inoltre, ha tratto vantaggio dalle cospicue erogazioni dei paesi euro, secondo criteri proporzionali, per il salvataggio delle banche in pericolo verso molte delle quali gli istituti tedeschi hanno forti esposizioni. Sul tavolo economico ha visto ulteriormente ampliarsi a suo favore il divario di competitività delle sue aziende le quali si finanziano ancora oggi a tassi sensibilmente minori. Ha infine incassato la possibilità di esportare con un tasso di cambio mediato (dalla debolezza dei “PIGS”), quindi meno alto di quello corrispondente alla forza specifica della sua economia.
Dunque, giocatore che vince, non meraviglia stia ancora allo stesso tavolo. Soprattutto quando è evidente che mai come adesso in Europa sia lui a dare le carte.
Il punto è se esista in Italia un dibattito politico sul nostro, di interesse nazionale, che sia però avvertito sulle regole del gioco in Europa. Qualcosa di più serio e meno velleitario delle posizioni di chi, smemorato di Collegno sulle fresche umiliazione continentali ricevute, ritiene basti “sbattere i pugni sul tavolo”. La verità è che non esiste alcun meccanismo di natura coercitiva, offerta dal diritto dell’Unione nel suo attuale stato evolutivo, né tanto meno dal diritto internazionale, capace di costringere uno Stato sovrano a fare ciò che non vuole della sua politica economica e fiscale.
Il sostanziale insuccesso delle forti pressioni esercitate congiuntamente da FMI, OSCE, Banca Mondiale, Stati Uniti, Francia ed altri paesi europei, tra cui il nostro, sulla signora Merkel nei periodi più acuti della crisi europea dei debiti sovrani (ad esempio sui cosidetti “Union Bonds”) dovrebbero essere sufficienti prove empiriche della dabbenaggine di posizioni sterilmente muscolari.
Abbandonando la prospettiva delle vecchie e nuove mosche cocchiere, la constatazione da cui partire appare allora altra. La moneta unica, e quindi il nostro paese, è stato salvato, con il concorso attivo del nostro governo, dall’unica istituzione europea che aveva il potere di decidere a maggioranza, addirittura con il voto contrario della Bundesbank, la BCE. Se la detta istituzione avesse dovuto decidere con il metodo intergovernativo, tipico del coordinamento economico, come è oggi previsto dai trattati, staremmo a commentare un altro film, senza lieto fine.
Questo dato non può non far riflettere. Indica che l’argine allo strapotere di paesi come la Germania coincide piuttosto con un salto di qualità del processo integrativo, anche sulle politiche economiche, oggi coordinate secondo un metodo peer to peer.
Occorre cioè costruire istituzioni in cui si riesca a far prevalere l’interesse collettivo e dotate di poteri coercitivi esercitati democraticamente e a maggioranza. Al di fuori di ciò c’è la legge del più forte.
Mettendo allora da parte puerili posizioni anti-tedesche, è, all’opposto, rassicurando, seguendo ed incorporando il gigante europeo nell’ambiziosa costruzione federale, che si coltivano i nostri interessi. Spingiamo senza paura sull’acceleratore della storia. Puntiamo a far da battistrada per audaci cessioni simmetriche di sovranità. Ne avremmo da guadagnare.