L’ondata di violenze che sta travolgendo la Siria non accenna a placarsi. Un’altra autobomba è esplosa oggi nel pieno centro di Damasco, vicino alla sede del partito Baath e il bilancio è di 53 morti e 200 feriti. Intanto, come si legge in un comunicato del principale movimento di opposizione di Damasco, la coalizione nazionale siriana sarebbe pronta a negoziare per porre fine alla guerra, ma a condizione che Basahr el Assad non sia incluso in nessuna soluzione possibile. In clima di forti tensioni che non fa che allontanare la fine del conflitto. Un conflitto che ormai dura da troppo tempo e sta martoriando il paese che non sa come uscirne. “La Siria come il Libano, lì la guerra durò una quindicina d’anni”. È il pensiero di Ugo Tramballi, inviato ed editorialista del Sole 24 Ore ed esperto di Medio Oriente.
Sembrava, ottimisticamente parlando, di intravedere una porta aperta che potesse consentire un dialogo tra le parti…
Se si vuole considerare il tentativo fatto da Lakhdar Brahimi, il mediatore delle Nazioni Unite e della Lega araba per la Siria, qualcosa c’è stato. Si è trattato, però, di un tentativo, coraggioso, disperato ma anche inutile che non ha portato a nulla. Non c’è mai stato un dialogo tra le parti in Siria. E ovviamente in mancanza di dialogo c’è la parcellizzazione più devastante del conflitto. Da un lato c’è il regime chiuso nella sua torre d’avorio, anzi d’acciaio, costituita da armi e munizioni fornite dalla Russia e dall’Iran, dall’altra c’è un’opposizione che è diventato un fronte eterogeneo incapace di presentarsi come alternativa al resto del mondo e soprattutto sempre più occupata da elementi di estremismo fondamentalista. Chi sta combattendo veramente sono le milizie legate al qaedismo.
In questo quadro la Coalizione Nazionale Siriana che posizione sta assumendo?
Vogliono vincere la guerra. Il tentativo di aprire il dialogo che Qasim Saad Al-Deen ha fatto un paio di settimane fa, proponendo a Bashar al Assad di cominciare a discutere del futuro della Siria in realtà era un pretesto per dimostrare al mondo che Bashar non ha nessuna intenzione di fare un compromesso perché l’esistenza di questi movimenti estremisti lo mantiene in una botte di ferro. L’opposizione ufficiale vorrebbe in realtà vincere la guerra , ma non può perché non ha le armi necessarie per fare la differenza sul terreno, come successe negli anni ‘80 ai mujaheddin al khan. Le invasioni iniziarono nel 1979, le cose cambiarono nel 1983- 84 quando gli americani attraverso i pakistani e i sauditi diedero a mujaheddin dei piccoli missili che da terra potevano abbattere gli aerei sovietici. Di questo hanno bisogno anche le milizie dell’opposizione ufficiale, il problema è che, non del tutto a torto, gli occidentali, Stati Uniti ed Europa, non vogliono dare queste armi perché non hanno la certezza che queste armi non finiscano nelle mani di questi movimenti estremisti, i quali sono finanziati dall’Arabia Saudita, che fornisce le armi.
La posizione assunta dall’Italia qual è?
L’Italia non ha una vera posizione anche perché avendo un Governo di tecnici, il Ministro degli Esteri è un ambasciatore. La definizione delle politiche estere non era nell’agenda Monti. Questo governo è rimasto nell’alveo della nostra posizione tradizionale, anche se il ministro Giulio Terzi ha dichiarato più di una volta che l’Italia è favorevole a rifornire di armi l’opposizione ufficiale. Ma non siamo noi ad avere gli arsenali necessari a sconfiggere il regime di Bashar al Assad.
Lei come inquadrerebbe ciò che sta avvenendo in Siria?
Quello che sta accadendo in Siria è molto simile a ciò che accadde in Libano: la guerra civile libanese cominciò nel 1975 è andata avanti per quindici anni fino al 1990. Non è stata una sola guerra, ma ce ne sono state una serie, diciamo che abbiamo assistito a un’evoluzione bellica. Tutti hanno combattuto contro tutti. Anche se domani cadesse Bashar al Assad la guerra civile probabilmente non finirebbe e continuerebbe con altri protagonisti e in altre forme.
La fine del conflitto, quindi, è lontana?
Sì. E come succede nella maggior parte dei conflitti civili si sta incancrenendo. Bisogna considerare anche gli interessi occidentali ma soprattutto è un conflitto che stanno decidendo non tanto i siriani in sé, ma i protagonisti della regione che non sono né gli americani né gli europei, ma gli iraniani, i curdi. Un ruolo importante lo stanno giocando anche Qatar e Arabia Saudita. Quello siriano è un conflitto civile che ha una dimensione regionale e quindi è destinato a durare. Oggi non riesco a immaginarne la fine. Dirò di più: se domani, ipotizzando per assurdo, i ribelli conquistassero Damasco comincerebbe la seconda fase, ovvero la guerra civile tra i vincitori. E anche se Bashar al Assad sconfiggesse gli oppositori, anche quest’ipotesi totalmente improbabile, si creerebbe poi un conflitto per la successione all’interno del regime.
(Elena Pescucci)