Il Parlamento tedesco ha approvato una legge che autorizza la diagnosi preimpianto sugli embrioni, a condizione che ci sia un rischio molto alto di aborto spontaneo o che uno dei genitori sia affetto da una malattia genetica ereditaria. Lo ha stabilito il Bundesrat, la Camera Alta, con una decisione analoga a quella presa dal Bundestag nel luglio 2011. Ilsussidiario.net ha intervistato Francesco D’Agostino, professore di Filosofia del diritto nell’Università Tor Vergata di Roma.



Qual è il significato storico e politico di questa decisione del Parlamento tedesco?

La Germania in un primo momento aveva proibito le diagnosi preimpianto perché c’era la memoria storica dell’eugenetica nazista. Per difendersi da qualunque accusa di ricadere nell’eugenetica, la legge tedesca in materia era molto rigorosa. Sono passati alcuni anni e questo timore è venuto meno. Approvando la diagnosi prenatale, la Germania obiettivamente favorisce l’eugenetica preimpianto. Questo in parte è un problema presente anche nella legge italiana sulla procreazione assistita, in quanto vi si attua una difesa degli embrioni che è comunque limitata. La donna può sempre rifiutare l’impianto, e in questo caso l’embrione non nascerà.



Quindi lei intende dire che la diagnosi preimpianto va nella direzione dell’eugenetica?

Da un punto di vista oggettivo è così. Non voglio giudicare i parlamentari tedeschi che l’hanno votata, ma la diagnosi preimpianto, comunque la si pratichi, è un’apertura all’eugenetica. A meno che la si utilizzi con finalità terapeutiche, ma questa obiettivamente è una possibilità del tutto marginale dal punto di vista statistico.

Intende dire che la diagnosi preimpianto non è finalizzata necessariamente all’aborto?

Dal punto di vista bioetico, l’aspetto problematico della diagnosi prenatale riguarda solo i casi in cui questa è finalizzata all’interruzione di gravidanza. Nella ricca casistica che si dà in materia, non è detto che sia sempre così. Con la diagnosi prenatale si acquisisce un’informazione e ciò di per sé non è immorale. Ciò che è immorale è l’eventuale uso che si può fare delle conoscenze acquisite.



In che senso?

Si può anche sostenere, come ritengono alcuni bioeticisti, che l’acquisizione di queste conoscenze possa servire alla terapia prenatale delle patologie dell’embrione. Oggi esiste un capitolo della bioetica riassunto nell’espressione “il feto come paziente”, per sostenere che si è aperto un nuovo ramo della medicina in cui si cerca di curare delle patologie prenatali. Queste ultime ovviamente richiedono diagnosi prenatali.

 

In Italia le diagnosi preimpianto sono consentite?

A essere vietate sono quelle diagnosi che possono presentare rischi per l’embrione. Una mera diagnosi osservazionale dell’embrione non è però proibita dalla legge, il cui scopo è garantire la salute dell’embrione. Poniamo che su tre embrioni un medico ne analizzi uno per ipotizzare la salute degli altri, e distrugga quello che sottopone a diagnosi, in questo caso si introduce un evento letale per l’embrione stesso. Diverso è il caso in cui ci si limita a porre l’embrione sotto al microscopio per osservarlo e acquisire informazioni.

 

Se lo scopo è curare l’embrione, dove sta la necessità di una diagnosi precedente all’impianto e non invece successiva?

Ipotizziamo che l’embrione sia talmente alterato da far pensare che l’impianto non possa che fallire. In questo caso il medico saggio non dovrebbe né impiantarlo né distruggerlo, purché ovviamente raggiunga la certezza del fatto che le alterazioni embrionali siano gravissime. Poniamo che il medico produca cinque embrioni in provetta, ne prenda uno per impiantarlo e lo metta sotto al microscopio. Invece di avere il normale colore, è diventato tutto nero. A questo punto il medico potrebbe anche non sapere il perché di quanto è avvenuto, ma potrebbe stimare in base alla sua professionalità che l’impianto fallirà o che ci sarà un aborto spontaneo. Diverso è il caso di una diagnosi prenatale per scoprire se l’embrione ha la Sindrome di Down per poi ucciderlo, in quanto si tratta di una scelta la cui immoralità è conclamata.

 

(Pietro Vernizzi)