Negli Usa infuria il dibattito sull’equiparazione del matrimonio gay a quello omosessuale. Non tanto e non solo sul matrimonio in sé, quanto su una serie di diritti e prerogative che, dall’equiparazione, discendono. I divorzi, anzitutto: chi si sposa c’è il rischio che prima o poi divorzi. Oggi, nel mondo occidentale, viene considerata una drammatica normalità, contemplata tra le cose possibili. Ma, fino a pochi decenni fa, il divorzio non era legale. Stessa cosa accade, negli Usa, per le coppie gay. In certi Stati, il matrimonio è riconosciuto. In altri, sono riconosciute unicamente le coppie civili. In altri ancora, nessun riconoscimento. Ora, immaginiamo una coppia che si sposta in uno stato che riconosce l’unione e, in seguito, si trasferisce in un altro in cui non è riconosciuta. Non potranno divorziare. Oppure potranno ma si porranno una serie di questioni irrisolvibili in materia di diritti relativi ai figli, alla spartizione dei beni, agli alimenti, ecc… Una situazione originata dalla differente disciplina vigente tra Stato e Stato, e tra gli Stati federati e lo Stato federale. I fautori dei diritti dei gay sono in attesa del pronunciamento della Corte Suprema del 26 e del 27, che deciderà, anzitutto, se abolire la Proposition 8, un referendum che in California ha reso illecite le unioni omosessuali, senza tuttavia, abrogare quella celebrate in precedenza. I giudici si dovranno, inoltre, esprimere sul Defense of Marriage Act, la legge federale del 1996 che definisce il matrimonio esclusivamente come l’unione tra due persone dello stesso sesso.



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