“Tutto dipenderà dalle prossime mosse dell’India. Se userà il pugno di ferro potrebbe anche decidere di colpire l’Italia attraverso la chiusura di accordi commerciali o il richiamo dell’ambasciatore in Italia. O nella migliore delle ipotesi potrebbe accettare l’ipotesi di un arbitrato internazionale”. Enzo Cannizzaro, docente di Diritto internazionale nell’Università di Roma La Sapienza delinea gli scenari che potrebbero aprirsi dopo che l’Italia ha deciso di trattenere i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati dell’omicidio di alcuni pescatori indiani.



La situazione si complica. Come giudica gli ultimi sviluppi della vicenda legata ai due marò italiani?

Da un punto di vista giuridico la decisione di trattenere i marò in Italia mi pare del tutto lecita perché essenzialmente l’Italia sta rispondendo a una violazione che ormai si prolunga da un anno del diritto internazionale da parte indiana. Anche dal punto di vista politico mi sembra opportuna perché credo che l’Italia abbia fatto tutto il possibile, e forse anche di più, per evitare una controversia internazionale e convincere l’India a riconoscere la competenza italiana, senza riuscirci. A mio avviso l’Italia non ha nulla di cui rimproverarsi. Certo, ora si espone alla controreazione indiana e su questo non si può far nulla.



Quindi a suo parere c’è stata una violazione del diritto internazionale da parte dell’India?

Molto evidente. Anzi sono due le violazioni: quella che mi sembra più chiara è la violazione del principio dell’immunità funzionale, cioè il principio per cui il comportamento di un organo di uno stato straniero non può essere imputato personalmente a quell’organo ma va imputato allo Stato per il quale l’organo ha agito.

Cioè?

Il comportamento di soldati italiani in missione ufficiale non può essere imputato personalmente a loro ma allo Stato italiano. Di conseguenza l’India non può esercitare la giurisprudenza penale sui due soldati ma deve entrare in una controversia internazionale con l’Italia. Questo è un principio riconosciuto da tempo immemorabile.



La seconda violazione qual è?

Riguarda la Convenzione dell’Onu sul diritto del mare, la “Convenzione di Montego Bay” del 1982 che prevede che la giurisdizione sulle navi in alto mare sia, in via esclusiva, dello Stato di bandiera, e quindi nostra.

Secondo lei l’Italia ha gestito bene dall’inizio la situazione?

In termini così assoluti non mi sentirei di dirlo, l’Italia ha certamente esperito ogni possibile tentativo di soluzione concordata con l’India, ma non ha mai avuto, per quel che so io, da parte delle autorità indiane un po’ di collaborazione. L’Italia ha violato il trattato bilaterale con l’India che prevedeva la restituzione dei marò, ma l’ha fatto ritenendo di rispondere a una violazione indiana.

Ci sono dei retroscena che sono sfuggiti in questa vicenda?

Certamente ci sono state varie conversazioni tra le autorità indiane e quelle italiane il cui contenuto è confidenziale. È anche possibile che sulle autorità indiane abbia pesato lo status federale dell’India.

 

In che senso?

Nel senso che abbiamo assistito a una contrapposizione tra la federazione indiana, responsabile delle relazioni internazionali, con lo stato del Kerala che ha un maggior interesse a esercitare l’azione penale. Però devo dire che anche la Corte suprema indiana non ha dato soddisfazione alle leggi italiane.

 

Perché proprio in questo momento il Governo italiano ha deciso di trattenere i due marò e non l’ha fatto quando sono tornati per le festività natalizie?

  Durante le vacanze natalizie ritengo che il Governo italiano sperasse che la Corte suprema indiana, un organo federale giudiziario, riconoscesse l’assenza di giurisdizione. Cosa che non è avvenuta. Anzi ha rinviato a un tribunale speciale che secondo il diritto indiano viene costituito per accertare la giurisdizione, allungando così i tempi. Dopo che un giudice federale aveva il potere di dichiarare l’assenza di giurisdizione indiana e non l’ha fatto, per l’Italia penso sia stato il momento giusto per mettere la parola fine su una questione che si sta trascinando ormai da un anno.

 

Possiamo dire quindi che l’Italia avrebbe dato una seconda opportunità all’India per rimediare?

Certo. In occasione della “vacanza premio natalizia” l’Italia ha restituito i marò convinta che la giustizia indiana avrebbe fatto il proprio corso. Una volta, però, che anche la Corte suprema non ha riconosciuto la competenza italiana, ha ritenuto opportuno prendere questa decisione.

 

Ci sono stati altri casi simili?

Possiamo ricordare la sentenza Calipari (il funzionario del Sismi che rimase ucciso nell’operazione per liberare la giornalista de Il Manifesto Giuliana Sgrena, ndr), che in Italia è stata vista come una sorta di privilegio nei confronti dei militari statunitensi. Eppure si trattava solo dell’applicazione dell’identica norma: i militari statunitensi non potevano essere giudicati in Italia per la semplice ragione che hanno agito nella loro veste ufficiale. La stessa cosa sta accadendo ora a parti rovesciate con l’India.

 

A livello diplomatico quali sono le conseguenze di questo gesto?

 Le prime notizie non sono incoraggianti: mi risulta che il Governo indiano ha convocato l’ambasciatore italiano. L’india potrebbe anche passare a misure più decise: potrebbero esserci rotture delle relazioni diplomatiche, il richiamo dell’ambasciatore. Oppure potrebbero essere contromisure economiche, la rottura di accordi commerciali. Può anche darsi, invece, che l’India accetti a questo punto l’offerta che l’Italia ha sempre fatto di sottoporre la questione ad arbitrato internazionale.

 

In Italia a questo punto potrebbe aprirsi un processo per i due marò?

In Italia i due marò debbono essere sottoposti a procedimento penale per accertare che in quell’occasione non hanno commesso alcun reato. Una procedura penale italiana mi sembra corretta ma anche molto opportuna per evitare di dare l’idea che la pretesa di immunità funzionale si traduca in una pretesa di impunità.

 

(Elena Pescucci)