“La pace deve arrivare in Terra Santa. Anche se abbiamo chiare le difficoltà che ci sono, non perderemo mai di vista l’intesa tra Israele e i suoi vicini”. Lo ha dichiarato ieri il presidente Usa, Barack Obama, nel corso della sua visita nello Stato ebraico pochi mesi dopo le presidenziali americane e le elezioni politiche in Israele. “La nuova maggioranza molto composita che sostiene il nuovo governo Netanyahu non favorisce certo l’avvio di un processo di pace, ma sono certo che una finestra, per quanto piccola, continua a restare aperta. Obama è qui proprio per esplorare le possibilità di avvicinare l’inizio dei negoziati”. Ad affermarlo è Michael Herzog, cittadino israeliano, international fellow del Washington Institute for Near East Policy, oltre che autore di tanto in tanto di commenti per il quotidiano Haaretz.



Quali sono gli obiettivi politici e strategici con cui Obama ieri è atterrato sul suolo ebraico?

Barack Obama ha deciso che questo è il momento giusto per un viaggio in Israele, all’inizio del suo secondo mandato e del terzo mandato di Benjamin Netanyahu, con tutte le difficili sfide che ci attendono nel 2013. Mi riferisco ai dossier Iran, Siria e relazioni israeliano-palestinesi. L’obiettivo di Obama è rilanciare l’amicizia tra America e Stato ebraico, approfondire la comprensione reciproca, parlare direttamente al pubblico israeliano e vedere se nei prossimi anni ci sarà lo spazio per delle decisioni politiche sui temi più critici.



Quali sono invece le aspettative di Israele nei confronti di questo viaggio?

Non ritengo che ci siano delle aspettative concrete, tangibili e immediate. Gli israeliani percepiscono che il fatto che il presidente Usa venga qui è un’opportunità che non si presenta tutti i giorni, e approvano la sua volontà di entrare direttamente in connessione con i cittadini dello Stato ebraico. Ieri ha parlato in pubblico e oggi terrà un discorso ufficiale: per Israele è una riaffermazione dei legami e dell’amicizia tra i due Stati. In questo senso apprezziamo la visita di Obama.

Che cosa emergerà dagli incontri tra Obama e Netanyahu per quanto riguarda l’Iran?



Tanto nelle discussioni pubbliche quanto in quelle private il presidente Obama vorrebbe trasmettere il messaggio che Israele deve avere fiducia nel fatto che gli Stati Uniti compiranno la cosa giusta e impediranno all’Iran di diventare una potenza nucleare. Più probabilmente nelle discussioni private Obama e Netanyahu cercheranno un migliore coordinamento e sincronizzazione tra i governi, con la promessa che Israele non spiazzerà gli Stati Uniti con delle mosse a sorpresa nei confronti dell’Iran.

 

Che cosa dobbiamo aspettarci per quanto riguarda la Siria?

Conosciamo le principali differenze tra i due governi nella posizione sulla Siria, anche se credo che Israele vorrebbe vedere un atteggiamento occidentale più incisivo, in contrasto al ruolo pro Assad di Iran, Hezbollah e Russia. Saranno comunque discussi i principali motivi di preoccupazione per i due governi, il primo dei quali è l’enorme scorta di armi chimiche in Siria e il loro possibile utilizzo, come è emerso soltanto martedì. Israele è anche preoccupato per la scorta di armi convenzionali presenti nel Paese confinante, e intende fare il possibile affinché tanto le armi chimiche quanto quelle convenzionali non cadano nelle mani sbagliate, siano esse quelle dei jihadisti in Siria o di Hezbollah in Libano. Si tratta quindi di un tema che sarà in cima all’agenda.

 

Ora che le elezioni israeliane sono alle spalle, c’è una speranza di riaprire i negoziati di pace?

Obama non viene a Gerusalemme con un piano di pace, ma per vedere se ci sono le condizioni giuste per avviare un’iniziativa di pace e sondare entrambi le parti, israeliani e palestinesi. Non sono certo di quanto la composizione del nuovo governo Netanyahu giochi a favore di un processo di pace, dovremo stare a vedere perché l’attuale maggioranza è un conglomerato di partiti con diversi programmi politici per quanto riguarda la questione israeliano-palestinese. Continuo però a credere che ci sia spazio per un’opportunità, per quanto ristretta, e che gli Stati Uniti giocheranno un ruolo determinante nell’esplorare le possibilità di avvicinare l’inizio dei negoziati.

 

(Pietro Vernizzi)