Non sappiamo quali siano i dettagli dell’accordo che Italia e India hanno raggiunto e che prevede il ritorno in India dei due marò. Dalle prime dichiarazioni governative sembra però che l’accordo abbia un contenuto assai povero. L’India si sarebbe solo obbligata a non condannare a morte i due soldati italiani o a non eseguire una eventuale pena di morte, a consentire che i due soldati risiedano in ambasciata nel corso del processo e a revocare le misure prese nei confronti dell’ambasciatore italiano. Non vi sarebbe, a quanto è dato di sapere, l’unico impegno che potrebbe giustificare la decisione italiana: l’impegno dell’India, una volta soddisfatta la sua richiesta di restituzione, a riconoscere a propria volta che i due soldati non possono subire un procedimento penale in India per condotte operate in missione ufficiale. Se così fosse, la posizione italiana sarebbe davvero singolare sia dal punto di vista giuridico che da quello politico.



La decisione di trattenere i marò si fondava soprattutto sulla convinzione che l’India non avesse giurisdizione a processare i due marò; convinzione ribadita più volte nel corso della crisi e fondata su solide basi giuridiche. La reazione indiana di trattenere l’ambasciatore italiano e la minaccia di ritorsioni sulla sua persona ha costituito una ulteriore, e anche più grave, violazione del diritto internazionale. In questa situazione, la decisione del governo lascia la spiacevole impressione che l’Italia abbia rinunciato a far valere le proprie ragioni anche quando, come in questo caso, esse sono ben fondate in diritto.



Dal punto di vista politico, la situazione è ancor più singolare. È possibile che la decisione di trattenere i marò sia stata presa alla leggera, senza cioè prevedere che essa avrebbe innescato una ulteriore escalation di una dura crisi diplomatica? È bastata davvero la scomposta reazione da parte dell’India per convincere il governo italiano a mettere da parte una posizione tenacemente sostenuta per un anno intero, che ha portato alla eclatante ma giustificata decisione di non rispettare l’impegno di restituzione dei marò e di piegare la testa in maniera così umiliante?

Due crisi recenti hanno opposto l’Italia a due potenze emergenti. Nel caso Battisti, l’esistenza di un obbligo di estradizione non è stato sufficiente a convincere il Brasile a consegnare un soggetto condannato in Italia per reati comuni. Nel caso del due marò, di converso, l’Italia ha invece consegnato due suoi soldati affinché vengano sottoposti a giurisdizione da parte di uno Stato che non ha alcun valido titolo di giurisdizione. Si tratta, evidentemente, di casi diversi che non possono essere trattati congiuntamente. Considerati nel loro insieme, e al di là delle indubbie differenze, i due casi creano la spiacevole impressione di una inadeguatezza del nostro Paese sul piano delle relazioni internazionali.



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