“Una nuova era inizia oggi, la porta si apre per passare dalla lotta armata alla lotta democratica. Facciamo tacere le armi, lasciamo parlare la politica. È ora che le nostre forze armate si ritirino oltre i confini (nel Kurdistan iracheno). Non è la fine, e l’inizio di una nuova era”.
Puntuale nel giorno del Capodanno curdo, è arrivato lo storico annuncio del leader del Pkk, Abdullah Ocalan, in prigione dal 1999. A leggere il suo messaggio sono stati due deputati curdi davanti a una folla enorme accorsa al parco di Diyarbakir, nel sud-est della Turchia. Una decisione storica che potrebbe cambiare i sempre fragili equilibri politici del vicino Oriente. Ilsussidiario.net ha chiesto a Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi, di commentare l’accaduto.



Come va interpretato il cessate il fuoco di Ocalan? Già nei giorni scorsi era trapelata la notizia e in realtà questa apertura arriva nel bel mezzo del processo di negoziato in corso negli ultimi mesi tra Pkk e governo turco. Evidentemente la Pkk e la Akp hanno capito che quella del dialogo politico è l’unica via percorribile. Da un lato il primo passo è stato fatto dall’Akp che ha teso la mano a Ocalan, iniziando a dialogare, evento mai successo, a cui è seguita l’attesa contromossa del leader del partito dei lavoratori del Kurdistan. Questo messaggio è da prendere, a mio avviso, in maniera ancora cauta, ma seria.



Perché proprio ora l’annuncio di Ocalan? L’annuncio è stato dato in un giorno particolare, il Capodanno curdo, la più importante festività per la comunità curda. È un gesto simbolico. Per quanto riguarda, invece, il momento storico torno a dire che arriva dopo tre o quattro mesi di trattative incessanti e c’era la speranza che si potesse arrivare a un messaggio del genere. Se poi si allarga il quadro, si può vedere che la Turchia da qualche anno ha stretto molto di più e rapporti con il Kurdistan iracheno, facendo delle aperture implicite alla comunità curda tout court. Non dimentichiamo la crisi siriana, che ha fatto sì che anche la comunità curda siriana venisse coinvolta e ha fatto sì che la Turchia, per prevenire la possibilità per il Pkk di espandersi anche al di là del confine turco e trovare un nuovo rifugio in Siria, nel Kurdistan siriano, scegliesse il momento più opportuno per portare avanti le trattative con il Pkk.



C’è qualcos’altro? Altro aspetto da non sottovalutare sono le elezioni del 2014: il primo ministro Erdogan da tempo sta facendo pressioni per riuscire a cambiare la Costituzione, farla diventare più presidenziale e poi presentarsi come candidato alla presidenza. In questo quadro poter essere l’uomo che, dopo 30 anni di scontro, arriva a una reale soluzione del conflitto con la comunità curda darebbe un ritorno di immagine incredibile all’attuale primo ministro.

E adesso quali dinamiche si innescheranno? Occorre capire se all’interno del Pkk stesso ci sia un fronte unito. Se la leadership di Ocalan, nonostante lui guidi il partito dalla prigione, è ancora universalmente riconosciuta o se nasceranno dei fronti interni di dissenso a questa politica di riconciliazione. È la cosa più importante da verificare, perché uno dei pericoli più grandi a questo tentativo di riavvicinamento tra comunità curde e Turchia è quella che all’interno stesso del Pkk nascano gruppi più oltranzisti e che il Pkk si divida, e una parte non accetti la posizione di Ocalan, continuando la lotta armata contro la Turchia e mettendo in serio pericolo le trattative.

E il governo come si muoverà? 

Bisogna vedere quanto all’interno dell’apparato statale turco vi sia una reale intenzione di portare avanti questi negoziati. In parte l’Akp negli ultimi 10 anni ha un po’ estromesso la componente militare dalla gestione del potere, e questo potrebbe favorire il riavvicinamento con i curdi. A mio avviso il clima di fiducia che può instaurarsi tra le due parti è ancora tutta da testare.

Basterà l’annuncio del cessate il fuoco per decretare la fine di un conflitto che dura da 30 anni? Sicuramente è un inizio, il messaggio ufficiale del capo del Pkk è la classica condizione necessaria ma non sufficiente. Da qui si dovranno attendere gli sviluppi già a partire dalle prossime settimane, dai prossimi mesi. Il primo segnale è stato quello di oggi: migliaia di curdi che hanno assistito alla lettura del messaggio di Ocalan hanno festeggiato facendo intendere che sono favorevoli a un riavvicinamento, del resto sono i curdi stessi che in questi anni hanno subito maggiormente le conseguenze di questo scontro. Vedremo se questo messaggio potrà trovare riscontro sul terreno oppure vi saranno dei tentativi di minare questo processo.

L’Italia che ruolo ha avuto nella vicenda? L’Italia ha avuto un ruolo molto marginale. Vi è stata una mediazione quando Ocalan venne cacciato dalla Siria, dove aveva trovato asilo, e arrivò in territorio italiano, nel ’98. Allora l’Italia lo accolse momentaneamente, rifiutando di consegnarlo alle autorità turche che lo richiedevano, più che per una comunanza di ideali o di solidarietà con la causa curda per il semplice fatto che la Turchia prevedeva la pena di morte e secondo la legge l’Italia non può concedere estradizione a persone che rischiano di essere condannate a morte. Un episodio che creò tensioni tra Italia e Turchia, ma la crisi fu più mediatica che altro e venne quasi subito risolta.

 

(Elena Pescucci)