Gli scontri religiosi in Myanmar tra buddhisti e musulmani hanno provocato 20 vittime nella sola giornata di venerdì. Il presidente ha dichiarato lo stato d’emergenza e migliaia di persone della minoranza musulmana sono in fuga. La polizia ha circondato le strade in fiamme, sequestrando maceti e martelli a una folla infuriata. Diversi edifici sono stati incendiati nella città centrale di Meikhtila, dove gli scontri tra i buddhisti locali e i residenti musulmani sono esplosi mercoledì scorso. La devastazione di Meikhtila, dove almeno cinque moschee sono state date alle fiamme, ricorda da vicino quanto è avvenuto lo scorso anno nel Myanmar occidentale, dove le violenze settarie tra l’etnia buddista dei Rakhine e quella musulmana dei Rohingya hanno lasciato centinaia di persone morte e oltre 100mila senza una casa. Ilsussidiario.net ha intervistato Bernardo Cervellera, direttore di Asia News.



Qual è il significato di queste tensioni religiose in Myanmar?

Finora c’era un regime militare che ha tenuto insieme, anche controvoglia, le decine di gruppi etnici che ci sono nel Paese. Ora che il regime militare si è un po’ allentato, e quindi c’è un po’ più di libertà, le diverse fazioni si sentono quasi in dovere di rinverdire le loro rivendicazioni, le richieste di autonomia e le invidie reciproche. Nei confronti dell’islam è emersa la frustrazione da parte della popolazione birmana per il fatto che i musulmani sono stati sempre molto ricchi. Essendo riusciti a collaborare con tutti i poteri in Birmania, sono invisi alla gente comune che è sempre stata molto povera.



Quindi non si tratta di un conflitto soltanto religioso?

Esatto, tensioni economiche e politiche si innestano su un conflitto di tipo pseudo-religioso. Le condizioni a partire dalle quali si sono scatenate queste rivolte è il fatto che adesso c’è un po’ più di liberalizzazione della società, e quindi tutti si sentono di poter offendere gli altri.

Le forze dell’ordine cosa stanno facendo?

Alcuni birmani, che sono ancora all’estero come esuli e non sono ritornati nel Paese, sospettano che dietro alle violenze ci sia l’esercito, che soffia sulle tensioni per affermarsi come l’unico vero salvatore della popolazione e della stabilità in Birmania. Le tensioni che si sono verificate dapprima a Myitkyina e poi nello Stato di Rakhaing hanno visto birmani che hanno lottato contro musulmani di etnia Rohingya.



 

I cristiani sono colpiti a loro volta dalle violenze?

I cristiani sono una minoranza molto piccola, meno dell’1% della popolazione, e quindi non hanno una grande influenza dal punto di vista sociale. Sono preoccupati più che altro per il loro futuro. In questa situazione del conflitto tra buddisti e musulmani non sono però direttamente implicati, stanno sul chi va là. Invece su altri fronti, per esempio nei confronti del conflitto tra l’esercito e gruppi Shan e Kachin, i cristiani sono più implicati in quanto fanno parte di questi gruppi etnici.

 

E’ la prima volta che nel mondo si verificano scontri tra buddhisti e musulmani?

No, in Birmania in particolare è da decenni che avvengono. L’unità politica della Birmania era stata ottenuta dal papà del leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, il generale Aung San, che aveva promesso anche una certa autonomia ai vari gruppi etnici. Questi ultimi però non si sono mai messi d’accordo, e dal 1948 in poi ci sono sempre state tensioni. Il regime militare ha in parte cercato di congelarle, ma il problema è che il Myanmar ha bisogno di proiettarsi verso il futuro proprio trovando una struttura politica del Paese che dia nello stesso tempo un po’ di autonomia a questi gruppi etnici e non faccia sbriciolare il Myanmar in tanti piccoli Stati.

 

Ma il buddhismo non dovrebbe essere una religione pacifica?

Queste sono soprattutto questioni etniche e politiche, ma dobbiamo tenere conto del fatto che il buddhismo non è soltanto distacco dalla realtà. Il buddhismo infatti consiglia la non violenza, ma non obbliga alla non violenza. In questi ultimi scontri però non sono coinvolti monaci buddhisti, a differenza di quanto è avvenuto nello Stato di Rakhaing.

 

(Pietro Vernizzi)