Il fatto importante è che i quattro giornalisti italiani siano stati rilasciati, sani e salvi. Ma certamente Amedeo Ricucci di “Rai Storia”, con i suoi colleghi Elio Colavolpe, Andrea Vignali e la giornalista freelance Susan Dabbous non devono essersela passata bene. Lo stesso Ricucci ha usato una frase che si può definire “politicamente corretta” ricordando questi dieci giorni: “Abbiamo temuto per le nostre vite perché a un certo momento abbiamo capito che c’era la possibilità che i rapitori facessero un uso diverso di noi prigionieri”.
Fare i reporter, operare nel mondo della comunicazione in questo periodo, in un Paese come la Siria, è un rischio molto alto. In una situazione confusa, in zone dove il controllo passa da gruppi di miliziani fondamentalisti ad altri gruppi anche nel giro di pochi giorni, è difficile non incorrere in incidenti di questo tipo. La zona dove Ricucci e i suoi colleghi si muovevano era quella di Lakatia, a Nord, dove ci sono gruppi religiosi diversi, fondamentalisti di vario tipo, di diversa religione e anche di diversa nazionalità, tutti gelosi della loro “battaglia” e del controllo sul campo.
Come ha confermato il viceministro degli Affari Esteri, Staffan De Mistura, i quattro reporter “Non erano stati rapiti, ma fermati”. In sostanza, i quattro avevano probabilmente filmato alcune postazioni che hanno insospettito un gruppo di miliziani e su di loro è scattato il sospetto di essere delle “spie”. Sono stati fermati proprio perché ritenuti “sospette spie”.
E’ ipotizzabile che in questi lunghissimi dieci giorni di “fermo” sia stato “trattato” una sorta di “silenzio stampa”, per favorire complessivamente una soluzione positiva di tutta la vicenda e per permettere i necessari chiarimenti sulle riprese fatte dai giornalisti. A quanto risulta, il gruppo che ha fermato i giornalisti non ha chiesto nulla in cambio della liberazione e nessuno parlerà mai ufficialmente di una trattativa di qualsiasi genere.
Claudio Accogli, inviato speciale di guerra dell’Ansa, si è fatto una dura “gavetta” in questi anni e ha una grande esperienza sul campo. Accogli si è fatto quasi tutta la cosiddetta “primavera araba” e un anno fa è stato pure in Siria, non nella zona di Lakatia, ma in altri punti caldi del Paese di Assad, compreso Damasco.
Che cosa può essere capitato Accogli?
Credo che la versione riportata sia da Ricucci che da De Mistura sia sostanzialmente corretta, veritiera. I quattro colleghi sono stati fermati e non rapiti da un gruppo fondamentalista che controllava una parte di quella zona. Zona piuttosto pericolosa per i reporter, zona che si definisce spesso di retrovia dove deve esserci anche scambio di armi e probabilmente basi di guerriglieri. Posso immaginare che lì, arrivati in quella zona, abbiano filmato qualche cosa che ha insospettito qualcuno. In più c’era la giornalista italo-siriana, la freelance che parla arabo e questo deve averli insospettiti ancora di più. Un fatto del genere, anche solo una battuta fatta di poche parole, crea sospetto in quelle zone e in queste situazioni. E’ capitato anche al sottoscritto.
Ci si muove con grande difficoltà in Siria?
Non è una cosa semplice. Controlli e controllori possono cambiare da un momento all’altro. Quello che ti è permesso un giorno, magari non è più valido il giorno dopo. Puoi combattere un comune nemico, ma poi appartieni ai tuoi miliziani, con la tua religione, la tua appartenenza, la tua nazionalità. Questo è sempre avvenuto e io lo ho constatato anche in altre realtà. Mi è capitato di vedere questo tipo di controlli, di regole, stabilite e poi cambiate, anche durante la caduta di Gheddafi in Libia. Posso dire che tuttavia in Libia c’erano alcuni “centri” di riferimento più solidi, in Siria siamo veramente in un crogiolo dove è difficile orientarsi.
Questo significa che anche una soluzione per la Siria diventa più difficile?
E’ problematico comprendere come se ne possa uscire. Molto complicato azzardare ipotesi. Ci si muove in universo spesso incomprensibile. Ti capita di parlare con uno di Al Qaeda che magari fa riferimento direttamente a Al Zawawiri. Nella zona dove sono andati Ricucci e i suoi ci sono guerriglieri afghani, persiani, alawiti. Magari i quattro colleghi hanno filmato, su permesso di qualcuno, un sito che qualcun altro riteneva che non si poteva filmare. A volte ci si muove anche con troppa facilità, senza considerare il contesto che è veramente difficile decifrare.
(Gianluigi Da Rold)