I quattro giornalisti italiani sono tornati in libertà sabato, dopo essere stati trattenuti da un gruppo di ribelli islamisti. Si tratta di Amedeo Ricucci, inviato Rai, e dei freelance Elio Colavolpe, Andrea Vignali e Susan Dabbous. Sembra comunque non si sia trattato di un rapimento, ma di un vero e proprio arresto da parte di milizie ribelli che controllano ormai ampie zone della Siria. Un arresto per evitare che la stampa internazionale arrivi in zone che non si vuole siano visitate da giornalisti. L’Esercito Siriano Libero avrebbe rilevato che i giornalisti avevano fotografato postazioni militari, mettendole in pericolo. Ilsussidiario.net ha chiesto un commento sulla vicenda a Selin Sanli, giornalista della tv pubblica turca TRT.



Diverse fonti nei giorni scorsi hanno suggerito che la Turchia abbia svolto una azione di mediazione per liberare i giornalisti italiani, le risulta?

Non è ancora del tutto chiaro, se mai verrà svelato. Per motivi di sicurezza, il fatto che la Turchia abbia fatto realmente da mediatore potrebbe non essere dichiarato. E’ vero però che nei giorni scorsi diversi giornali turchi parlando del caso facevano allusioni più o meno velate al ruolo della Turchia in questo senso. 



E’ comunque plausibile che la Turchia possa essersi impegnata a fare da mediatore. 

La posizione ufficiale è stata, qualora fosse arrivata una richiesta dell’Italia, che la Turchia sarebbe stata pronta a intervenire. Un collega che lavora in Turchia, con cui avevo parlato nei giorni scorsi, mi aveva detto di non avere la certezza di un ruolo del nostro governo perché le autorità di Ankara cercavano di non parlare più di tanto di un loro coinvolgimento. Le confesso però che in tutta questa vicenda c’è qualcosa che non mi torna.

A che cosa si riferisce?

Penso che si tratti di un rapimento senza movente. Non si capisce cioè per quali motivi i giornalisti italiani siano stati rapiti. Non è la prima volta che ciò avviene: era già capitato a un giornalista turco e ad alcuni britannici. E’ come se qualcuno volesse lanciare un messaggio preciso: “Non venite più qui o farete una brutta fine”. Sembra che si voglia diffondere una paura generalizzata. Un giornalista si reca in Siria per raccontare quanto sta succedendo, e ovviamente l’esercito ribelle sa bene di non essere invisibile. Per quale motivo quindi bisognerebbe rapire dei reporter solo perché hanno fatto alcune foto?



E’ quindi più credibile che i giornalisti siano stati fermati perché non vedessero zone di guerra che i rapitori avevano interesse a non far vedere alla stampa.

Sì, è molto probabile anche questo. Fin dall’inizio avevano detto di non aver effettuato un rapimento, lo hanno detto fin dal primo momento. E’ quindi probabile che siano stati fermati, arrestati, per capire cosa stessero facendo. Probabilmente pensavano fossero spie.

E’ però confermato che i rapitori erano un gruppo islamista.

Sì, questo è confermato. Di fatto, questo episodio ci conferma che la Siria è ormai zona di guerra totale, dove nessun giornalista è ben accetto come sempre accade in ogni zona di guerra. Si può dire sia stata un’azione di avvertimento per tutta la stampa internazionale ovvero: state a casa vostra. 


Che senso può aver avuto la richiesta del silenzio stampa?

Questa richiesta sembra alludere al fatto che qualcuno può avere detto: “Se voi continuate a parlare di noi, faremo di tutto per ammazzare i vostri giornalisti”. L’effetto che si spera di raggiungere è che nessuno abbia il coraggio di venire a “mettere il naso” in una vicenda poco chiara. Per questo dicevo prima che qualcosa non torna. Ovviamente non si può stare completamente zitti, è successo un fatto grave e la stampa ha il dovere di parlare, ma pur sempre con rispetto perché non vogliamo perdere i nostri colleghi.

 

Come sono i rapporti tra la Turchia e i ribelli siriani?

La posizione della Turchia contro il regime di Assad è nota, sappiamo tutti quindi qual è il ruolo di Ankara.

 

Ma a che titolo la Farnesina avrebbe potuto chiedere un intervento della Turchia?

La Turchia svolge un ruolo particolare nell’area, innanzitutto perché in questo momento ci sono tantissimi siriani nel sud del nostro Paese. Si tratta di alcune migliaia di rifugiati, e già da soli basterebbero a spiegare un coinvolgimento turco nella vicenda. Le autorità di Ankara sono importanti in questa fase, perché controllano un confine con la Siria lungo diverse centinaia di chilometri. Si trovano quindi nella posizione di svolgere una mediazione, anche perché qualsiasi cosa accada in Siria avrà un impatto anche sulla Turchia.

 

Com’è la situazione al confine turco-siriano per quanto riguarda la sicurezza?

Il lato turco è sicuro perché ci sono i militari del nostro esercito, mentre quello siriano è molto pericoloso. Una volta varcato il confine nessuno può dire che cosa gli accadrà, se incontrerà milizie ostili o meno: sono zone di guerra e sappiamo tutti che cosa sta avvenendo al loro interno. Sono territori che non offrono nessuna garanzia per chi li attraversa.

 

(Pietro Vernizzi)