BOSTON – È un giorno terribile a Boston. Ogni anno, Marathon Day è un grande giorno di festa. Ufficialmente si chiama Patriots’ Day e, un po’ come Pasquetta in Italia, è la festa in cui si apre ufficialmente la primavera. Le scuole sono chiuse e si sente clima di vacanza. La maratona si corre sempre di lunedì e quest’anno cade il 15 di aprile, che per gli Stati Uniti è anche Tax Day, l’ultimo giorno per inviare la dichiarazione dei redditi. Sono al lavoro nel mio ufficio, a circa 2 km dalla linea di arrivo e a meno di un km dal percorso. Volevo andare a vedere il passaggio dei maratoneti qui vicino all’ufficio, ma un paio di appuntamenti aggiunti all’agenda all’ultimo momento mi hanno trattenuto al lavoro. Sono un corridore della domenica e mi stavo allenando anche io per la mia prima maratona. Una tenditine mi ha fermato un mese fa, proprio dopo l’allenamento per la mia prima long run di 16 delle 26,2 miglia della maratona (ovviamente qui la maratona si conta in miglia). Non avrei certamente corso Boston, che è la maratona più competitiva del Nord America. New York è la maratona della gente, Boston è invece la maratona degli atleti che richiede tempi da superman per ottenere una agognata pettorina. Il mio running mate (compagno di allenamenti, in inglese) ha ottenuto uno special pass e correva anche lui oggi. Io non sono stato altrettanto fortunato, ma mi ero comunque iscritto ad una delle maratone satellite che si corrono in questo stesso weekend negli Stati Uniti (ce n’è anche una che si chiama “Too slow for Boston” che evidentemente raccoglie molti come me che non hanno il passo dei migliori).
Alle 3,10 pm ho un momento di respiro al lavoro e apro internet per vedere come sta andando il mio running mate. Lo trovo facilmente nel tracking system (ovviamente tutti i runners hanno una pettorina con chip integrato che riporta tempi ai passaggi più importanti). Vedo che ha fatto la prima metà ad un buon tempo e poi ha perso il ritmo ad un passo che non abbiamo mai pensato di correre, neanche negli incubi più brutti. Non so se essere dispiaciuto per lui o fregarmi le mani nel pensare alle battute e agli sfottò non appena lo vedrò. È passato da pochi minuti al 40 km, poco piu’ di 2 km dal traguardo (stranamente il sito della maratona a www.baa.com riporta gli intermedi in km, mi sento quasi ferito del mio pro-americanismo).
Non appena chiudo il mio browser, suona il cellulare. È uno dei miei amici, mi dice che c’è stata un’esplosione alla linea di arrivo della maratona, a Boylston Street. Chiedo immediatamente l’ora dell’esplosione e cerco immediatamente di calcolare se il mio compagno di corsa potesse essere già lì. In base ai miei calcoli, era leggermente troppo lento per essere all’arrivo, almeno di qualche minuto. Tiro un respiro di sollievo.
Non c’è modo però di chiamarlo. Mentre io sono un vero corridore dilettante con musica dal cellulare, lui è un vero professionista e non correrebbe mai con il cellulare in tasca. Inizio a sentire le ambulanze, evidentemente stanno portando i feriti al Brigham and Women’s Hospital che è qui di fianco. Inizio a ricevere email e telefonate dall’Italia di amici preoccupati. Riesco a chiamare i miei prima che si allarmino. Mi ricordo di essere passato questa mattina vicino al traguardo e penso alle signore un po’ attempate che stavano piazzando le loro sedie a fianco del percorso. Spero proprio stiano bene, secondo i primi reports le esplosioni erano proprio al traguardo, loro dovrebbero essere ok. Arriva la notizia non di una ma due esplosioni, probabilmente bombe al traguardo. Si pensa subito a September 11th, allora ero a Washington e mi viene in mente lo shock di allora. Oggi tristemente non si riesce più ad essere increduli come allora. Il mondo è cambiato in pochi anni.
Email, telefonate, e sms arrivano senza sosta. Amici preoccupati da ogni parte del mondo ed molti di Boston per cercare di capire cosa sia successo. Le ambulanze continuano a correre, viene il sospetto che ci siano più dei 2 morti e 22 feriti che riportano inizialmente i telegiornali. Ho sentito ambulanze per almeno due ore e questo è solo uno dei quattro ospedali vicino all’arrivo. Arrivano sms che mi fanno sapere di una possibile esplosione al Jfk Library, che è 5-6 km dalla linea dell’arrivo. Lo spettro di un nuovo 11 settembre diventa palpabile. Arrivano voci di problemi al Tufts medical hospital, l’ospedale più vicino alla linea di arrivo. Forse un gruppo di terroristi ha preso di mira oltre alla maratona anche il primo avamposto di emergenza? Si parla di ordigni rudimentali, forse fatti da bombaroli dilettanti ma spietati.
Mentre scrivo non sappiamo molto, distinguere i falsi allarmi dalle vere notizie è impossibile. Sappiamo soltanto che una nuova tragedia si è abbattuta su gente inerme. Per favore, nessuno provi neanche a pensare e tantomeno a dire che gli americani se la sono meritata. In strada potevo esserci io e le persone sono morte veramente. Lo so che lo avete fatto dopo l’11 settembre e domani o tra una settimana qualche saggio illuminato del Corriere o di Repubblica ci riproverà ancora. Voi, se potete, cercate di ricordarvi che qualsiasi commento della vostra mente tanto arguta non servirà a molto, al massimo potrà farvi fare la figura degli idioti. Ripensate allo shock che avete avuto al sentire la notizia. Se proprio non lo avete sentito, cercate di pensare a quello che abbiamo avuto noi. Eliminarlo o metterlo in secondo piano vi farebbe perdere il meglio di voi stessi.
(Andrea Baccarelli)
(Photo: Boston Globe)