Non sappiamo ancora con certezza chi sia stato o che cosa sia accaduto. Ma i fatti della maratona di Boston feriscono il cuore di chiunque. Ancora una volta la persona, che è il vero punto di rinascita in ogni crisi per la propria capacità di riconoscere e seguire il Bene, è stata ridotta a simbolo. Sentimenti, storie, desideri sono stati cancellati dall’assurda pretesa che quelle vite rappresentassero qualcosa, forse l’Occidente, forse l’America, forse Altro. Nessuno per adesso lo sa. E neanche il saperlo attenuerebbe il senso di assurdità che sta dietro tutto, come se il saper fornire qualche motivazione logica attutisse in qualche modo lo scandalo del male. Ma non è così. Perché possiamo trovare ogni causa, politica o sociale, psicologica o razionale, ma nessuno riporterà in vita ciò che oggi è andato perduto. Niente può giustificare il fatto che l’uomo, quell’uomo che è capace di riconoscere il Bene col proprio cuore, fa il male, sceglie il male. Tante volte in questo mese lo abbiamo detto e adesso lo vediamo: il male è dentro di noi, il male è in noi. Per questo la prima urgenza che sentiamo, che come uomini avvertiamo per fare davvero giustizia, non è una comprensibile vendetta né la ricerca dei colpevoli, ma il bisogno che qualcuno ci perdoni. All’origine di ogni cambiamento non sta uno sforzo umano o l’ennesima violenza che possiamo impiegare per obbligarci a cambiare, ma la misericordia, il perdono di Dio.
Noi non siamo in grado di dire al Presidente Obama che cosa debba fare, siamo solo consapevoli che i terroristi cui l’America dà la caccia, dentro al grande Mistero di Dio, sono nostri fratelli, carne della nostra carne. E questo spinge ognuno di noi a guardare sempre con più verità il “Mistero proprio dell’Esser Nostro”. Certi che davvero il dolore di queste ore non può essere l’ultima parola.