Kit igienici, coperte e altri materiali sono stati distribuiti da personale dell’Avsi a un migliaio di profughi siriani ospiti del campo di Marj el Kok, nel sud del Libano. Ilsussidiario.net ha raggiunto al telefono Marco Perini, responsabile Avsi dei progetti di cooperazione in Libano, che ci ha raccontato i particolari della giornata.    



In quanti vivono nel campo?
In tutto sono un migliaio di persone. A Marj el Kok ci sono 150 famiglie, tutte di origine sunnita, che vivono in tende abbarbicate su basse collinette, a una ventina di metri dal ciglio della strada.

Quanti sono i bambini?
Quelli sotto i 10 anni rappresentano il 40 per cento della popolazione del campo e vivono quasi tutti con la loro mamma. La novità di questi giorni è che stanno arrivando molti papà che si trovavano nelle prigioni del regime. Due giorni fa il presidente siriano ha infatti annunciato l’amnistia per tutti i tipi di reati.   



Quali sono le loro condizioni di salute?
Sono cagionevoli. Hanno lasciato le loro case con poco e sono arrivati qui con niente. Non hanno indumenti se non la t-shirt che indossano, sono scalzi, spesso malnutriti, senza un granché per riscaldarsi. Adesso c’è anche il problema dei pidocchi. Ieri c’erano 8 gradi, pioveva e faceva parecchio freddo. 

Come si svolge la vita nel campo?
Abbastanza serenamente, direi, con qualche piccola tensione. È normale in condizioni del genere. Ieri, ad esempio, quando abbiamo distribuito coperte e altri generi, qualcuno ha cercato di fare il furbo e qualcuno l’ha scoperto. Si sono azzuffati, ma tutto è rientrato presto. Qui vivono tutti la stessa condizione. E’ una vita povera. Anche se quasi tutti i bambini frequentano le scuole pubbliche, grazie alla lungimiranza del governo libanese.



Cosa offrite loro?
Kit per l’igiene, generi alimentari, vestiario, coperte. Presto riusciremo a fornire anche assistenza alle donne incinte e medici che visiteranno i malati del campo. In queste ore stiamo acquistando prodotti per debellare i pidocchi.

Cosa sarà di loro?
Le prospettive per loro non sono rosee. La guerra in Siria non sembra avviarsi a conclusione e se anche terminasse chissà cosa troverebbero una volta tornati a casa. Qui i profughi sono dappertutto. Già oggi rappresentano un quarto dell’intera popolazione libanese. Per fare un paragone, è come se in Italia ci fossero 12milioni di profughi.

Da quando vi occupate di quel campo?

In quella zona siamo presenti dal ’96, quando terminò la guerra con Israele. Allora il campo era una realtà molto piccola, fatta di poche famiglie di lavoratori stagionali. Frequentandolo regolarmente ci siamo resi conto che andava man mano ingrossandosi fino ad arrivare alla situazione di oggi.       

 

Che rapporto avete instaurato con le persone?
Lo definirei di grande amicizia. Lo testimonia il sorriso e la contentezza con cui ci accolgono i bimbi del campo quando portiamo loro le cose di cui hanno più bisogno. Il nostro gesto di amicizia li rende felici. È come un raggio di sole in giornate che sono spesso molto buie. Ma ci sono tanti segni di riconoscenza anche da parte degli adulti.

 

Per esempio?
E’ gente di grande dignità, difficile sentire che si lamentino. Ieri, quando abbiamo fatto la distribuzione, ci aspettavamo che ci dicessero: c’è anche il problema delle donne incinte, dei pidocchi, dei soldi per l’ospedale. Invece ci hanno invitato a bere un té perché, ci hanno detto, oggi è un giorno di festa perché abbiamo fatto una bella cosa assieme.

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