Raif Badawi, giovane editore: rischia la pena di morte per aver aperto un blog critico sulla polizia religiosa saudita. Per lui, come tanti altri, Acmid ha aperto una petizione da oltre 8.000 firme che ancora prosegue. Turki al Hamad, intellettuale: arrestato e incarcerato per un tweet in cui suggeriva alcune riforme nell’Islam. 176 manifestanti arrestati per un picchetto illegale e di cui non si ha più notizia. Mohammed ‘Abdullahal-Abdulkareem, docente di Legge all’Università di giurisprudenza islamica: arrestato in relazione a un articolo in cui aveva analizzato l’incertezza legata alla successione al trono saudita. ‘Abdullah Salel al-Muhanna, ex sindaco della città di al Khober: arrestato per aver tenuto all’interno della sua abitazione la preghiera del venerdì per i fedeli della comunità sciita.



Rizana Nafeek, migrante singalese: accusata della morte di un neonato di 4 mesi affidato alle sue cure, rischia la decapitazione. E potrei parlare ancora per ore. Quando leggo le parole del Ministro dell’Interno saudita, nelle quali si dipinge un’Arabia Saudita rispettosa dei diritti umani e della libertà di pensiero e di religione, automaticamente mi tornano in mente questi e altri mille casi di libertà negata, di prigionia per coscienza. E allora, mi chiedo, al di là delle dichiarazioni istituzionali di rito per cui nessuno se la sente di contraddire l’ospite che dice cose discutibili, come si può ascoltare un’enormità di questo genere e stare zitti? Io non riesco a tacere di fronte a chi mi dice che le donne saudite “avranno scelto” di non guidare l’automobile. O che “costruire una chiesa in Arabia Saudita è come costruire una moschea nella Città del Vaticano”. A meno che il Ministro non voglia dirci che il Vaticano non è dentro la Capitale, mi pare di ricordare che a Roma esiste la moschea più grande e importante d’Europa. Oltre alle quasi mille moschee e centri culturali sparsi in tutta Italia. O che il “non costruire chiese in Arabia Saudita non vuol dire che un’altra religione non possa essere professata”.



I commenti, francamente, servono a poco: i fatti contano di più. Solo due mesi fa, a febbraio, cinquantatre cristiani etiopi sono stati arrestati perché stavano pregando in un’abitazione privata. Tutti fatti corroborati dalla cronaca dei giornali e delle agenzie che si occupano di diritti umani, non frottole propagandistiche atte a screditare chicchessia. A meno che non stiamo vedendo due film diversi, mi appare molto chiaro che questa non è libertà di espressione, di credo e di pensiero: queste libertà, assieme ad altre, non sono negoziabili. E qui non c’è nemmeno negoziazione, c’è negazione assoluta.



Non accetto di ascoltare chiacchiere in libertà da un sistema di governo che non prevede contraddittorio, elezioni, consultazioni o ascolto del parere di un popolo che ormai è schiacciato. Quel popolo che merita di essere tenuto fuori dalle critiche, perché nulla può e al quale va solo vicinanza per non poter influire in alcuna maniera su scelte che semplicemente ricadono dall’alto. Con conseguenze che vediamo tutti i giorni sulle cronache internazionali. Ormai solo una cosa divide l’Afghanistan, in cui le donne praticamente sono scomparse, dall’Arabia Saudita: essa ha le due sole cose più agognate dall’Occidente: denaro e petrolio. Altrimenti potremmo parlare di situazioni praticamente alla pari.

Come può dirsi libero un popolo che vede le sue donne frustate in pubblico perché fuoriesce una ciocca di capelli o uno spicchio del viso? Come può dirsi libero un popolo che vede incarcerato un poeta o un editore perché fanno ciò che sentono di fare per passione o dovere morale? Come può dirsi democratica un’elite governativa che non sa nemmeno cosa siano la partecipazione e i diritti civili? Non vedo, però, alcuna risposta da parte di chi si indignava per i dittatori del mondo arabo tanto da accettare anche le nuove leve dei governi islamisti che sono loro succedute. E sulle quali il Golfo una grossa mano ce l’ha messa. Davanti a queste parole, tutti zitti. Davanti a chi governa in maniera autocratica senza rispettare diritti elementari inviolabili, solo silenzio, accettazione passiva e scandalosa remissione di ogni responsabilità. Proprio da quel Parlamento Europeo che, dall’alto di una presunta superiorità morale, ci condanna ogni due per tre per violazione dei diritti dei migranti, nemmeno una parola su un Paese che i diritti non li viola nemmeno, semplicemente li annulla.

Ma questa è l’aria che tira in Europa e nel mondo, dove alcune pagliuzze altrui sono sempre più grandi delle travi proprie e chi ha peccato scaglia serenamente la prima pietra. Cosa ha fatto l’Europa per Raif Badawi e per tutti gli altri? Non è questa l’Europa che voglio, l’Europa che si prende un Nobel per i diritti umani e contestualmente non ribatte su parole inaccettabili. L’Europa era la patria del diritto e del progresso sui diritti, oggi invece si rivela passiva su temi che dovrebbero essere base della sua azione politica e internazionale. Invece ha totalmente abbandonato gli uomini liberi che vivono al di fuori dei suoi confini, costretti a carcere, torture e morte solo per aver denunciato sistemi autocratici e dittatoriali. Per aver composto una poesia o aver suonato una nota d’amore. Chi dimentica questi uomini e donne non si può scrollare di dosso ogni responsabilità, perché la storia, presto o tardi, gli chiederà inesorabilmente conto di quei silenzi.