Un grande passo verso l’entrata in vigore di un trattato sul commercio delle armi è stato compiuto al Palazzo di Vetro di New York durante l’assemblea generale dell’Onu. Dopo il fallimento di due conferenze basate sulla regola del cosiddetto “consensus”, ovvero di un’approvazione all’unanimità, è stato raggiunto l’accordo: 153 nazioni hanno votato a favore del trattato, in 23 si sono astenute (tra cui Arabia Saudita, Cina e Russia) e tre (Corea del Nord, Iran e Siria) hanno votato contro.



Finora non esisteva alcun trattato che regolasse a livello globale la vendita di armi convenzionali (come carri armati, artiglieria, navi da guerra, missili e armi leggere), il cui giro d’affari si aggira attorno ai 60 miliardi di dollari, per evitare che finiscano nelle mani della criminalità o che vengano usate per commettere violazioni dei diritti umani. Per capire meglio l’importanza del patto siglato dalle Nazioni Unite ilsussidiario.net ha intervistato Alessandro Pascolini, professore associato di fisica teorica nell’Università di Padova.



In molti hanno definito storica la firma di questo trattato, perché?

E’ il primo trattato a livello mondiale che tenta di armonizzare le procedure che riguardano il commercio internazionale delle armi convenzionali. È storico perché è dal 1990 che le organizzazioni non governative tentano di arrivare a forme internazionali di controllo a livello mondiale. L’Onu cerca di trovare l’accordo dal 2006, ci sono state anche molte delibere dell’assemblea generale, con la costituzione di commissioni, fino ad arrivare alla fase finale del comitato preparatorio del trattato, riunitosi a marzo. In quell’occasione però non è stato possibile approvare il trattato perché era necessario che tutti i Paesi fossero d’accordo. L’assemblea generale dell’Onu l’ha infine approvato il 2 aprile.



Cosa cambia in concreto?

Prima alcuni Paesi avevano delle giurisdizioni specifiche, inclusa l’Italia, così come la Comunità europea. Esistono anche degli accordi in Africa e in America latina in particolare che riguardavano solo questi Stati, e poi c’era l’accordo Vashnaar che coinvolgeva un gruppo di 40 Paesi esportatori. Tutti questi accordi, però, riguardavano solo gruppi di Stati; ora invece esiste un trattato che vale per tutti i Paesi del mondo, che fissa delle regole coerenti e identiche per tutti sul commercio internazionale di armi, impedisce la vendita di armi a Paesi che non rispettano le norme umanitarie, tenta di effettuare controlli sull’entità del commercio internazionale per rendere più difficile il traffico illegale.

Qual è l’importanza di questo trattato?

Quella di essere uno strumento unico che deve valere per tutti. Siccome il commercio delle armi è universale, se esistono giurisdizioni diverse è anche possibile far arrivare le armi dove si vuole facendole passare da un Paese all’altro valendosi appunto di regole diverse per l’esportazione e il controllo.

 

Cosa prevede il trattato?

La creazione di una struttura permanente, il segretariato, che avrà il compito di raccogliere informazioni e organizzare incontri informativi. Ogni cinque anni sono previste possibilità di revisione del trattato, per migliorarlo e affinarlo. D’ora in poi i Paesi prima di autorizzare l’esportazione di armi devono controllare a chi vanno, che pericoli ci sono nel loro impiego. Si crea un clima che porterà abbastanza naturalmente a forme di controllo sempre più rigide. Almeno è ciò che molte organizzazioni non governative si aspettano.

 

Per ciò che riguarda il traffico illegale, soprattutto nel sud del mondo, quali conseguenze ha la firma di questo trattato?

Poiché il trattato è in vigore in tutti i Paesi, anche il traffico illegale – che parte dalle grandi fabbriche e si vale di intermediari che si muovono poi più liberamente – diventerà molto più complicato. I controlli saranno serrati in tutti i passaggi.

 

Quando entrerà in vigore?

Sarà aperto alla firma il 3 giugno a New York. Perché sia regolarizzato ci vuole la ratifica di almeno 50 Paesi, da quel momento dopo 90 giorni entrerà in vigore. Ci vorrà in tutto, credo, qualche anno.

 

(Elena Pescucci)