La Corea del Nord ha avvertito “formalmente” la Presidenza e il Dipartimento della Difesa Usa che potrebbe dare inizio a un’operazione nucleare. Secondo l’agenzia di Pyongyang, la Kcna, “nessuno può dire se una guerra esploderà o no in Corea e se esploderà oggi o domani”. Il Pentagono ha fatto sapere di avere intrapreso una “mossa precauzionale per rafforzare le nostre postazioni di difesa regionale contro la minaccia di missili balistici nordcoreani”. Ilsussidiario.net ha intervistato Francesco Sisci, corrispondente per Il Sole 24 Ore da Pechino.
Come si spiega questa escalation della strategia della tensione?
Diversamente dal passato, Pyongyang è molto più isolata in quanto il sostegno cinese si è indebolito. Inoltre c’è un nuovo leader, Kim Jong-un, che è molto giovane e sotto la tutela di parenti, zii, generali molto anziani, e deve provare di essere in grado di saper gestire la situazione. L’insieme di questi fattori, invece di spingere la Corea del Nord a venire a più miti consigli, sembra che la stia incoraggiando a mostrare i muscoli. Dobbiamo vedere se si tratti di un atteggiamento da “guappo di cartone”, come direbbero i napoletani, oppure se effettivamente Pyongyang sia disposta ad auto-distruggersi con una guerra.
Vien da pensare che l’ipotesi più realistica sia la prima delle due…
Ovviamente non sappiamo che cosa pensino né Kim Jong-un né la leadership nord-coreana. In qualche modo però è evidente che Pyongyang sta calcolando male la situazione. In passato tutti erano disposti a un certo punto a cedere pur di non arrivare a un confronto ultimo ed estremo con la Corea del Nord. Oggi invece non è più così.
Per quale motivo?
Non solo l’America, ma anche la Cina hanno cominciato a prendere in considerazione l’idea di fare a meno del regime nord-coreano. Nessuno vorrebbe arrivare a tanto perché è un costo troppo elevato e un rischio eccessivo, ma se si deve scegliere tra subire l’ennesimo ricatto di Pyongyang o farla crollare, alla fine la scelta sarà la seconda. E in questo Kim Jong-un non ha percepito la nuova situazione e la nuova atmosfera.
Che cosa è cambiato rispetto al passato?
Ciò che è mutato è che la Cina non è più disposta a farsi ricattare, o addirittura rapire nella sua politica estera dalla Corea del Nord. E’ questo il cambiamento paradigmatico che è avvenuto, il problema è che Pyongyang non lo ha ancora capito. Se il regime di Pyongyang cadesse e le due Coree si unificassero, la Cina perderebbe lo sbocco sul Mar Giallo.
Pechino ha davvero interesse a “mollare” Kim Jong-un?
La Cina sa fare bene i suoi calcoli, e ha messo in previsione anche questa possibilità. Naturalmente Pechino non vuole far cadere il regime di Pyongyang, ma ancora di più non vuole essere ostaggio delle fisime nord-coreane. E’ questo il passaggio sottile che sta avvenendo in queste ore.
Perché i ricatti di Kim Jong-un danneggiano la Cina?
Pechino non è più disposta a essere ostaggio di questi ricatti perché ha una visione molto più ampia della situazione. Ci sono dei conflitti territoriali con il Giappone per quanto riguarda le isole Senkaku/Diaoyutai, ci sono dei problemi con Vietnam e Filippine per quanto riguarda l’arcipelago Spratly. In questo contesto un atteggiamento più forte della Cina nei confronti della Corea del Nord porterebbe benefici a Pechino su tutti gli altri scenari. Non ci sono quindi motivi per i quali la Cina debba rimanere ostaggio della Corea del Nord, su una questione rispetto a cui tra l’altro c’è un’intesa molto forte tra Pechino e Seoul. I vantaggi del sostegno a Pyongyang per la Cina sono di gran lunga diminuiti rispetto a due o tre anni fa.
(Pietro Vernizzi)