Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha concesso la grazia al colonnello Joseph Romano, che aveva coordinato il rapimento dell’imam Abu Omar dalla moschea di viale Jenner. Fonti del Qurinale sottolineano che il presidente nel concedere la grazia si sia basato “sullo stesso principio che si cerca di far valere per i nostri due marò in India”. Nel frattempo viene alla luce un rapporto dell’ammiraglio Alesssandro Piroli, secondo cui a uccidere i marinai indiani non sarebbero stati Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, ma altri due dei sei militari italiani presenti sull’Enrica Lexie. Ilsussidiario.net ha intervistato Carlo Curti Gialdino, professore di Diritto internazionale all’Università La Sapienza di Roma.

Davvero il principio fatto valere da Napolitano nel concedere la grazia è lo stesso che si cerca di fare applicare per i due marò?

Uno degli aspetti della vicenda dei marò è l’immunità funzionale dei nostri militari sostenuta dalle nostre autorità fin dall’inizio della vicenda. Latorre e Girone erano nel pieno esercizio di funzioni statuali, non erano al servizio dell’armatore ma erano lì per proteggere il naviglio commerciale. La legge italiana, che poi è collegata a risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu e ad azioni svolte dall’Ue, ha sempre sostenuto questa tesi che però finora non è stata accolta né dall’Alta Corte del Kerala né dalla Corte Suprema Indiana.

La giurisprudenza della nostra Corte di Cassazione nei confronti dei militari stranieri è coerente con questo impianto?

Da questi punto di vista esistono tre precedenti particolarmente rilevanti. Il primo è il caso del Cermis, dove due top gun americani nell’ambito di un addestramento tranciarono i fili della cabinovia provocando la morte di 20 turisti. Il secondo è il caso Lozano, in cui fu coinvolto un militare Usa che sparò contro l’auto diretta all’aeroporto di Bagdad sulla quale si trovavano Nicola Calipari e Giuliana Sgrena. Il terzo è il caso Abu Omar, dove oltre ad alcuni esponenti della Cia in Italia con un accreditamento consolare/diplomatico, è stato imputato anche il colonnello Joseph Romano, capo di sicurezza della base di Aviano dalla quale Abu Omar fu poi fatto partire per l’Egitto.

Che cosa hanno stabilito i giudici italiani nei riguardi di questi tre casi?

Nei casi Cermis e Lozano/Calipari, la nostra giurisprudenza si è assestata sulla constatazione che questi atti erano stati commessi da militari nell’esercizio delle loro funzioni. I nostri giudici hanno quindi affermato il difetto della giurisdizione italiana. Nel caso invece del sequestro di Abu Omar la Corte di cassazione ha ritenuto che l’immunità funzionale non potesse affermarsi, e che quindi sussistesse la giurisdizione italiana, perché il delitto di cui si discute è stato ritenuto un crimine contro l’umanità. Il sequestro era infatti propedeutico all’interrogatorio dell’imam che è stato sottoposto alla tortura.

 

E quindi?

Per i magistrati italiani, nel bilanciamento del crimine internazionale e dell’immunità dalla giurisdizione deve venire meno l’immunità funzionale, applicandosi quindi la nostra giurisdizione. Per gli Stati Uniti al contrario il difetto di giurisdizione prevale su qualsiasi altra questione, e dunque il tribunale competente non è quello italiano.

 

Che cosa c’entra tutto ciò con la vicenda dei due marò?

La tesi del governo italiano sull’immunità funzionale dei marò trovava un ostacolo in una giurisprudenza guarda caso italiana che nel caso del colonnello Joseph Romano aveva detto che l’immunità funzionale non vale. Quando l’Italia ha chiesto aiuto in tutte le sedi internazionali sulla questione dei marò, la posizione americana è stata particolarmente fredda e Washington non ci ha dato un particolare appoggio. Nel comunicato della presidenza della Repubblica, che contiene la motivazione della grazia non c’è nessun riferimento ai marò. Tuttavia c’è un passaggio in cui si afferma che l’azione del colonnello Romano era conforme a disposizioni americane.

 

Il sequestro di Abu Omar era cioè stato ordinato dalla Casa Bianca?

Il sequestro di Abu Omar rientrava in una prassi che era stata avviata da Bill Clinton. La cattura di sospettati di terrorismo aveva raggiunto però la sua massima espansione proprio sotto George W. Bush. Se era in qualche misura legittima l’attività del colonnello in forza della legislazione americana, lo stesso si deve affermare per l’attività dei marò sulla base della legge italiana.

 

Napolitano ha graziato Joseph Romano per salvare i due marò?

Senza voler affermare che questa grazia sia collegata al caso dei fucilieri, la sua tempistica fa immaginare che ci possa essere una relazione. Inoltre come risulta dalle prime dichiarazioni che provengono dall’ambasciata americana a Roma e dalla stessa Washington, gli Stati Uniti sono molto soddisfatti di questa decisione e probabilmente alla prossima richiesta di aiuto per la vicenda dei marò saranno un po’ più proattivi di quanto siano stati finora.

 

Che cosa ne pensa dell’ipotesi che i fucili che hanno sparato siano stati quelli di altri due militari presenti sempre sull’Enrica Lexie?

Finora la difesa italiana non ha mai valere quest’argomentazione. Dalla ricostruzione dell’ex ministro Giulio Terzi in Senato del marzo 2012, quando Latorre e Girone sono stati fatti scendere dalla nave, erano presenti sulla nave il console generale d’Italia Cutillo, ed era arrivato da New Delhi del personale inviato dall’ambasciata italiana. Perché siano scesi Latorre e Girone rimane uno dei tanti misteri di questo caso, tanto più che il rapporto italiano fa nomi e cognomi degli altri due fucilieri che avrebbero sparato.

 

Qual è la reale provenienza di questa versione?

A firmare il documento è l’ammiraglio Alessandro Piroli, un alto ufficiale di Marina che si era recato in India per raccogliere elementi utili sul caso. L’ammiraglio ha interrogato i quattro fucilieri rimasti sull’Enrica Lexie dopo che Latorre e Girone erano stati arrestati, e forse ha potuto parlare anche con questi ultimi. Pirolli ha fatto inoltre da spettatore, insieme a due carabinieri del Ris, alle indagini balistiche delle autorità indiane. Quindi l’ammiraglio ha redatto un rapporto che ha presentato ai suoi superiori in grado l’11 maggio 2012.

 

(Pietro Vernizzi)