Ancora nessuna notizia di Domenico Quirico, l’inviato de La Stampa che dal 9 aprile scorso è scomparso in Siria vicino a Homs. Quirico, 62 anni, nel 2011 era stato rapito in Libia dai miliziani di Gheddafi poco prima della liberazione del Paese. Ilsussidiario.net ha intervistato il giornalista di Avvenire, Camille Eid.
Quale formazione siriana può avere realizzato il rapimento di Quirico?
Non abbiamo nessun elemento per giudicare. In primo luogo non sappiamo se sia stato veramente rapito, in quanto per ora è dato come “irreperibile” da 20 giorni ma non c’è nessuna rivendicazione da parte di nessun gruppo. Pensare che ci sia stato un rapimento, senza che uno dei tanti gruppi che gravitano nella zona di Homs abbia avanzato delle richieste, pone diversi interrogativi. Come dicono gli arabi, tentare di comprendere la scomparsa di Quirico è come leggere nella sabbia. Il caso è preoccupante perché Quirico era abituato a situazioni di guerra, e diverse volte aveva chiesto alla redazione e ai familiari di non essere chiamato per una settimana per non essere individuato. Mai però era avvenuta una cosa simile per un periodo così lungo.
Che cosa ne pensa dell’ipotesi secondo cui Quirico sarebbe finito nelle mani di Hezbollah?
Hezbollah è presente nella zona in cui è scomparso Quirico, in quanto da alcune settimane ha inviato decine dei suoi miliziani a combattere nell’area di Al-Qusayr vicino a Homs. Si tratta di una località dove si trovano dei villaggi sciiti, che Hezbollah considera addirittura come libanesi in territorio siriano. I miliziani del partito libanese sono dunque stati inviati a protezione di questi sciiti, in quanto si sono infatti verificati degli scontri tra i loro villaggi e l’entourage sunnita.
Quirico al momento della scomparsa si trovava proprio in questa zona?
Esistono diverse strade che portano dal Libano alla Siria, e che potrebbero essere state prese da Quirico. Fatto sta che Qusayr si trova proprio sull’autostrada tra Homs e Damasco, e potrebbe essere stata attraversata da Quirico. D’altra parte Hezbollah in passato ci ha abituati alla scelta di non nascondere le sue azioni, che rivendica in termini espliciti. Per non parlare del fatto che non vedo un motivo diretto per un’operazione come un rapimento di Quirico da parte di Hezbollah, che non avrebbe nulla da guadagnarci.
All’inizio della guerra i ribelli siriani proteggevano i giornalisti occidentali. Oggi hanno ancora interesse a difenderli?
Inizialmente il governo siriano impediva ai giornalisti stranieri, e in particolare a quelli occidentali, di seguire gli eventi perché riteneva che fossero tutti succubi della propaganda degli oppositori. Si riteneva che venissero per raccontare un unico aspetto, quello della repressione ai danni dei civili. L’opposizione cercava quindi di mettere sotto la sua protezione quei giornalisti che riuscivano a entrare senza l’autorizzazione del governo, in alcuni casi anche rischiando la morte. Oggi in parte le cose sono cambiate, ma è chiaro che le efferatezze del regime permettono all’opposizione di trarne un beneficio mediatico. Ciascun gruppo mette su Youtube i filmati con i suoi attacchi, le munizioni che riesce a ottenere, il numero di aeroporti e di depositi d’armi. Un giornalista straniero permette però di andare oltre questo giro limitato delle informazioni, raggiungendo una platea più vasta. Non condivido quindi che vi sia stato un cambiamento così radicale nell’atteggiamento dei ribelli verso la stampa occidentale.
Perché allora i rapimenti di giornalisti occidentali sono sempre più frequenti?
Il punto è che oggi per un inviato è diventato molto più difficile seguire questa guerra. Se prima c’erano due fronti, da un lato i lealisti e dall’altra i ribelli, ora un inviato per quanto tenti di tenere gli occhi aperti, non è più in grado di capire nella zona di chi si trovi. Soprattutto la zona di Homs è particolarmente complicata. La stessa città è divisa in quartieri a maggioranza sciita e alawita, ciascuno dei quali è assediato come avviene anche per i villaggi cristiani.
Ieri si è verificato il secondo attentato a Damasco in due giorni. I ribelli sono sempre più vicini al cuore del regime?
La piazza di Marja, nel quale è avvenuto l’attentato, è famoso nella storia stessa di Damasco. E’ qui che nel 1916 sono stati impiccati dei nazionalisti siriani per mano dei turchi. Questo attentato ha quindi un suo significato e una sua simbologia nella memoria storica, sia della Capitale sia dell’intera Siria, ed è un centro nevralgico per il Paese. Questa frequenza degli attentati indica che la battaglia per Damasco si sta avvicinando. A colpire però non è stata necessariamente una formazione organizzata sul territorio della Capitale, in quanto un singolo kamikaze da solo può essere in grado di fare tutto questo.
(Pietro Vernizzi)