Dopo la fine del Colonnello Muammar Gheddafi, sulla Libia è calata la cortina del silenzio. Quasi una censura imposta dall’Occidente, che prima è intervenuto militarmente bombardando senza troppe distinzioni postazioni militari e centri abitati, e poi ha voltato le spalle alla Libia come se il suo futuro non lo riguardasse. Dimenticando che Italia e Libia sono unite tuttora da un legame economico molto forte. Ilsussidiario.net ha contattato il professor Abdel Fattah, ex parlamentare dei Fratelli musulmani egiziani, che oggi si è trasferito a Misurata.



Durante la guerra, la città è stata accerchiata per mesi dalle forze di Gheddafi che hanno fatto migliaia di morti civili con gli Scud e i cecchini. Insieme all’Istituto di Cultura Italiana, l’ex deputato ha fatto dell’insegnamento della letteratura italiana la sua missione per dare una risposta alla città ancora oggi martoriata dalle cicatrici dei bombardamenti. “Un futuro migliore per la Libia, come pure per l’Egitto e per tutti i Paesi della Primavera araba, passa attraverso un’apertura maggiore nei confronti di tutto il mondo e in particolare dell’Europa, che rappresenta il nostro vicino sull’altra sponda del Mediterraneo”, sottolinea il professor Fattah.



Gruppi armati hanno circondato i palazzi del governo di Tripoli. Ci vuole spiegare che cosa sta avvenendo in Libia?

La Libia è una realtà con una situazione particolare rispetto agli altri Stati attraversati dalla Primavera araba. La diffusione delle armi purtroppo è capillare e le forze dell’ordine ancora non sono riuscite a raccoglierle dalle mani della gente. In molti sono scesi in piazza, assediando i ministeri della Giustizia e degli Affari esteri e chiedendo le dimissioni del primo ministro, Ali Zeidan. Il governo ha risposto approvando la legge sull’isolamento politico. Purtroppo in Libia sono presenti numerosi esponenti dell’ex regime che cercano in tutti i modi di ostacolare il cammino verso la democrazia su base costituzionale.



Per quale motivo la stessa unità nazionale sembra essere messa in pericolo?

La situazione è diversa rispetto all’Egitto, dove l’esercito rappresenta un pilastro della stabilità nel Paese. In Libia al contrario non è mai stato formato un Esercito nazionale, e sono dunque presenti diverse milizie, ciascuna delle quali è composta da centinaia di persone che escono con le armi nelle strade per imporre le loro idee con la violenza. Sono certo che questa difficile fase di transizione passerà, la democrazia per affermarsi richiede tempo.

Lei come valuta il modo in cui il governo di Ali Zeidan sta gestendo la transizione?

Zeidan è un uomo dalle grandi capacità diplomatiche. Di fronte ai sit-in intorno ai ministeri poteva essere tentato di ricorrere alla forza, ma ha preferito optare per una trattativa politica convincendo i manifestanti a rientrare nelle loro case. E’ inoltre una personalità molto colta e con un’idea molto precisa delle riforme necessarie per il progresso del Paese. Ha bisogno però di tempo e di calma per poter lavorare. Le malelingue affermano che la maggioranza dei membri del Consiglio nazionale libico che hanno eletto Zeidan sarebbero seguaci di Gheddafi.

 

Le cose stanno veramente così?

Si tratta soltanto di un modo per screditarlo, proprio nel momento in cui è in corso la prima stesura della nuova Costituzione. La facoltà di Lettere dell’Università di Misurata ha organizzato un simposio per discutere sulla nuova legge fondamentale dello Stato. Insieme ai professori e agli studenti di liceo e università, abbiamo lanciato la campagna “Conosci la tua Costituzione”, con incontri scuola per scuola sui temi che dovranno essere discussi in vista della stesura definitiva. La Costituzione sarà un importante passo in avanti verso la democrazia.

 

Sarà una Costituzione ispirata alla Sharia. Non è un passo indietro per la Primavera araba?

La parola Sharia, che indica la legge islamica, non deve incutere paura all’Occidente, in quanto uno dei suoi capisaldi è che chi “uccide un’anima innocente è come se uccidesse tutta l’umanità”. Nell’Islam la difesa di qualunque vita, a prescindere dalla religione di appartenenza, è un fatto obbligatorio. Quella libica sarà dunque una Costituzione laica, perché consegnerà ai cittadini un Paese civile e democratico. E ciò nonostante il fatto che le leggi saranno basate sulla Sharia islamica, il cui scopo è proteggere il diritto di proprietà, la libertà di pensiero, di parola e di stampa.

 

Durante la guerra contro Gheddafi, Misurata ha subito un lungo assedio. Oggi qual è l’atmosfera che vi si respira?

Misurata è più sicura di tutte le altre città libiche, le relazioni tra le tribù garantiscono la stabilità del tessuto sociale. Anche tra i miei studenti però alcuni hanno ancora le ferite riportate durante la guerra, e ogni due o tre mesi sono costretti a recarsi in Turchia o in Tunisia per curarsi. Durante la guerra quasi ogni famiglia ha contato almeno un morto, in quanto Gheddafi ha attaccato Misurata con gli Scud, mentre i miliziani del regime entravano nel centro abitato e lo saccheggiavano. Oggi la città ha ancora le cicatrici di questa guerra, con decine di palazzi tuttora sventrati.

 

Di quale aiuto può essere insegnare la letteratura in una realtà così drammatica?

La mia missione qui, di fronte alle ferite di una guerra che non appartiene soltanto al passato, è quella di diffondere la cultura italiana come un’opportunità per pacificare il Paese. Un futuro migliore per la Libia, come pure per l’Egitto e per tutti i Paesi della Primavera araba, passa infatti attraverso un’apertura maggiore nei confronti di tutto il mondo e in particolare dell’Europa, che rappresenta il nostro vicino sull’altra sponda del Mediterraneo.

 

(Pietro Vernizzi)