“La Giordania si sta trasformando nella Lampedusa del Medio Oriente, con il numero di immigrati siriani, irakeni e palestinesi che supera quello dei residenti”. Ad affermarlo è l’arcivescovo di Amman, Maroun Lahham, a proposito dell’afflusso sempre più massiccio di profughi siriani nel Paese di Re Hussein. I rifugiati siriani sono in questo momento il 10 per cento del totale delle persone presenti in Giordania, popolata da circa 6 milioni di abitanti, ma secondo il ministro degli Esteri Nasser Judeh potrebbero diventare il 40 per cento se non si troverà una via d’uscita diplomatica alla guerra entro il 2014.



Arcivescovo Lahham, quali sarebbero le conseguenze se davvero si arrivasse a quella soglia?

In primo luogo mi auguro che non si arrivi al 2014 senza una soluzione al problema siriano, e che quindi non si arrivi a un 40 per cento di popolazione giordana composta da profughi siriani. Senza ipotizzare questo scenario, c’è già un grave problema politico, sociale, materiale, morale, legato alla situazione dei profughi siriani. Sono veramente troppi per la Giordania, questa situazione mi ricorda solo un precedente.



Quale?

Un anni fa, quando ero ancora arcivescovo di Tunisi, mi sono recato a Lampedusa. All’epoca su 4mila residenti italiani, nell’isola c’erano 5mila profughi tunisini. E’ una situazione molto simile a quella in cui ci troviamo oggi in Giordania. Il nostro Paese non ha le infrastrutture necessarie per un numero così elevato di profughi siriani, anche perché ci sono già migliaia e migliaia di rifugiati irakeni e palestinesi. Il Paese è al limite delle sue possibilità, e anche per questo è indispensabile raggiungere una soluzione pacifica per mettere la parola fine alla guerra in Siria.



L’identità nazionale giordana può essere messa a rischio dal continuo afflusso di profughi siriani?

Non penso che questo afflusso durerà ancora a lungo, anche perché la questione siriana non è come quella palestinese. La loro terra non è stata occupata da un altro popolo, ma è in corso una guerra intestina. Anche per questo Russia e Stati Uniti ora si stanno mettendo seriamente a trovare una soluzione per questo problema. Non prevedo quindi che i siriani resteranno per sempre in Giordania come è avvenuto per i profughi di altri Paesi.

In quali condizioni vivono i profughi siriani in Giordania?

I profughi siriani sono di due tipi. Da un lato abbiamo i siriani benestanti, che sono venuti nelle città con i loro soldi, hanno affittato case, in alcuni casi continuano a svolgere il loro lavoro. Dall’altra ci sono quelli che vivono in tre campi di accoglienza, in uno dei quali si trovano 180mila sfollati. Queste persone hanno acqua, cibo e cure mediche, ma in questi campi non c’è vita né lavoro. Si trovano in mezzo al deserto dove d’estate la temperatura raggiunge i 40 gradi e durante l’inverno fa sempre freddo. La Caritas giordana fa il possibile per aiutarli, ma il numero dei profughi è troppo elevato perché si possa venire incontro a tutti i bisogni. E’ quindi una situazione estremamente difficile per loro e anche per noi.

 

Qual è il ruolo della Chiesa cattolica in questa situazione?

La Caritas giordana ha già aiutato 93mila famiglie siriane, pari a 360mila persone. A sostenerci sono la Caritas tedesca, italiana, francese, svizzera e polacca. Noi distribuiamo i mezzi provenienti dall’Europa e siamo molto apprezzati e rispettati in quanto lavoriamo veramente con uno spirito cristiano.

 

Quale ruolo può giocare la Giordania nella questione siriana?

La Giordania può giocare un ruolo di mediazione umana e politica. Dobbiamo tenere conto del fatto che il nostro è un piccolo Paese, la cui linea politica è su posizioni filo-occidentali. Trattandosi però di un Paese arabo, sicuro, aperto agli irakeni e ai siriani, sul piano umano può giocare un fondamentale ruolo di mediazione.

 

(Pietro Vernizzi)