I fatti che in questi giorni hanno contrassegnato Venezuela e Argentina, di per sé gravissimi, portano alla luce un fattore comune: i regimi nazionalpopolari che in questi anni hanno contraddistinto la vita di queste due nazioni sono arrivati al capolinea per la semplice ragione che a spingerli verso la fine è proprio la volontà popolare che sembrava alla base del loro potere. L’America Latina sta dando una lezione proprio al Vecchio Continente di come unirsi per voler vivere la democrazia sia un detonante che nemmeno le bugie più incredibili e le violenze più grossolane possono fermare.
È di questi giorni il proliferare di immagini che hanno fatto seguito alle elezioni venezuelane: dovevano essere un plebiscito celebrato sul cadavere di Chavez e invece si sono dimostrate la tomba del regime da lui instaurato. I dubbi di brogli, visto il risicatissimo successo del candidato del Partito Bolivariano al potere, Nicolas Maduro, sono più che leciti specie dopo il rifiuto di quest’ultimo di effettuare il riconteggio dei voti. In tutto il Paese sono scoppiate pacifiche dimostrazioni di dissenso che si sono trasformate purtroppo in scontri di una violenza inaudita, replicatisi anche all’interno del Parlamento venezuelano. Hanno fatto seguito episodi di vera forza da parte del regime, come l’interruzione di un comizio televisivo di Capriles, il leader dell’opposizione, con un discorso dell’attuale Presidente trasmesso in contemporanea su tutti i canali televisivi. La crisi nel Paese sta raggiungendo limiti inauditi ed è ormai incalzante, le proteste si moltiplicano ogni giorno, l’inflazione galoppa e desta molta preoccupazione la serie continua di visite fatte a Cuba dall’attuale premier, facendo sorgere molti sospetti circa la sovranità nazionale, dato che in settori sempre più vasti del Paese si ha ormai l’impressione che Raul Castro sia il vero Presidente venezuelano.
In Argentina al colpo di Stato istituzionale del 25 aprile, nel quale dopo votazioni alquanto dubbie con procedure fraudolente il controllo del Potere giuridico è di fatto passato in mani governative instaurando un regime totalitario, ogni giorno che passa si aggiungono pagine nere alla serie di scandali che da molto tempo circondano il kirchnerismo. La vicenda dell’esportazione illecita di capitali effettuata dal regime kirchnerista fin dalla sua nascita assume ogni giorno risvolti sempre più inquietanti e nonostante la vasta eco che si ha nell’opinione pubblica viene sistematicamente ignorata dal Governo. Così anche con la ex segretaria di Nestor Kirchner, Miriam Quiroga, in una intervista fatta dal giornalista Jorge Lanata non solo ha confermato quanto da lui documentato nelle puntate precedenti dell’inchiesta, ma ha parlato apertamente di borse piene di dollari o lingotti d’oro che giornalmente prendevano la strada o di patrimoni fiscali o della citta di El Calafate, nella provincia di Santa Cruz, dove il potere dei Kirchner è da anni assoluto. Quiroga ha anche parlato, anzi confermato, quella che sembrava una leggenda metropolitana, ossia l’esistenza della cassaforte deposito dei capitali di famiglia, situata secondo lei nella loro residenza.
Più in là è andato l’ex vice Governatore santacruzeno Ernesto Arnold che addirittura, in una trasmissione televisiva condotta da un altro emerito giornalista, Nelson Castro, lancia l’ipotesi che il gigantesco mausoleo dove riposano le spoglie dell’ex Presidente, situato nel cimitero della città patagonica di Rio Gallegos, sia in verità un altro deposito, visto che, inspiegabilmente, la tomba è vigilata costantemente, giorno e notte, quando non dalla polizia locale da una privata e l’accesso alla tomba può essere effettuato solo dopo un’attenta perquisizione. Da segnalare anche una notizia appena arrivata dagli organi di stampa: un avvocato dirigente del PJ (il partito peronista) ha chiesto di riesumare la salma di Nestor Kirchner per stabilire se non sia stato vittima di omicidio operato dalla moglie e il figlio Maximo.
Se da un lato tutto questo tsunami mediatico fatto da parte di mezzi d’informazione non allineati con il Governo (che avranno vita breve dopo la promulgazione della legge sui media e specialmente quella sul controllo del potere giudiziario) è stato silenziato totalmente da tutto l’apparato politico mediatico, un’altra bomba è esplosa in un esecutivo che ormai pare non sapere più a che santo votarsi per celare l’ipocrisia del potere.
Come i lettori de Il Sussidiario sanno, in Argentina al cambio ufficiale del dollaro, mantenuto dalla Banca Centrale a 5,4 pesos, se ne affianca un altro, denominato eufemisticamente blue per non usare la parola nero, dove la valuta americana ha superato in questi giorni i 10 pesos, quasi un raddoppio quindi. Per arginare questo fenomeno illecito, che unito a delle misure strabilianti e alquanto “originali” quali la impossibilità di cambiare in dollari al mercato ufficiale (costringendo quindi chi deve uscire dal Paese a fornirsi al mercato parallelo) basterebbe immettere una minor quantità di valuta locale, in modo da recuperare la credibilità in essa e diminuire l’inflazione (che però ha a che vedere con altri importanti fattori economici).
Invece lo staff del Governo ha predisposto un progetto secondo cui, in cambio del ritorno dei capitali dall’estero o quelli nascosti in patria, verrebbero emessi dei bonus che garantirebbero la conversione entro il 2016 della stessa quantità di valuta statunitense a un tasso di interesse del 4%, infinitamente superiore a quella operato dalla Fed. Ciò dovrebbe garantire anche la ripresa del mercato immobiliario, bloccatosi dopo i provvedimenti economici sopra descritti. Insomma, attraverso questa strana sanatoria crollerebbe uno dei miti della politica kirchnerista che fino a pochi giorni fa era estremamente intenzionata a perseguire l’illecito. Adesso lo si perdona, anzi, addirittura con un premio.
Visto che la quasi totalità degli economisti argentini è apertamente contraria a questa manovra (già tentata nel 2009 con scarsissimi risultati) il sospetto fortissimo è che, in pieno scandalo del lavaggio di capitali, alla fine il più grande beneficiario di questo decreto sia proprio la famiglia presidenziale e il suo intorno, ormai costituito da personaggi, come nel caso di Lazaro Baez, passati da semplici impiegati di banca a miliardari proprietari di immense estensioni di terra.
È singolare come invece sia stato varato un progetto di legge dove, chi è titolare di entrate superiori a un monto di circa 500000 pesos (circa 60000 Euro) debba portare testimoni e farsi carico di controlli fiscali perchè sospettato di pagare in nero il personale di servizio. Un sospetto quindi viene perseguito, mentre una certezza di illecito premiata. Davvero un altro illuminante esempio di politica nazionalpopolare che ormai enumera una varietà di casi impressionante: non è bastato lo scandalo delle Madri di Plaza de Mayo già abbondantemente descritto su queste pagine. Nella provincia di Formosa, al Nord del Paese, continua il genocidio della tribù originaria dei Qom, perpetrato dal Governatore di questa Regione argentina, fedele alleato del potere centrale: replica di fenomeni simili che accadono sia nel Chaco (altra provincia del nord) che in altre parti di questa nazione, specie dove le etnie autoctone occupano terre in cui si è sviluppato lo sfruttamento minerario. A dimostrazione di come la questione dei diritti umani sia solo l’ennesimo marketing mediatico.
L’altro giorno c’è stata la visita di Maduro a Buenos Aires, culminata in una manifestazione in perfetto stile oligarchico tipico ormai di due paesi che, in possesso di immense ricchezze, hanno ormai un record in comune. Quello della più grande inflazione nell’area latinoamericana. E dividono anche quello della grande protesta popolare che mina un potere che doveva (almeno secondo i calcoli di ambedue i Presidenti incontratisi alla casa Rosada) perpetrarsi nell’eternità.