Il mio pensiero su Amina, le Femen e tutte le forme di protesta che coinvolgono il corpo, è ormai ben conosciuto. Non amo particolarmente chi del proprio corpo fa un’arma, in tutti i sensi questo possa intendersi. Ho dedicato alcune riflessioni ad Amina e alla sua protesta, nonché alla sua scomparsa, per la quale Acmid ha sollecitato gli europarlamentari europei affinché si sapesse che fine aveva fatto. La notizia che era viva, nonostante tutto quello che ha passato ci ha rasserenato, ma sapevamo che la sua protesta non si sarebbe fermata lì. Nell’esporsi pubblicamente sul web a seno nudo, assieme ad altre donne in tutto il mondo, rivendicando libertà e diritti per le donne tunisine, e musulmane in genere. E così è stato. Tre giorni fa, a Kairouan, negli scontri fra salafiti e gente comune, con la polizia in mezzo, che ha visto alcuni morti, Amina è riemersa.
Davanti alla Moschea di Uqba, Amina ha sfidato la rabbia salafita: la sua presenza ha fatto scattare scontri ancor più duri. Alcuni media, anche italiani, hanno riportato una notizia non vera, ovvero che Amina si sarebbe denudata davanti alla moschea. Cosa mai accaduta, infatti la giovane tunisina, che dava sfoggio della tintura bionda dei capelli, ha creato scompiglio solo appalesandosi. Vista dalla Polizia, è stata quasi subito tratta in arresto. Per proteggerla, si è detto. Per ben altro motivo, in realtà. Notiamo un particolare: è bastata la presenza di Amina a far saltare i nervi ai salafiti, che si trincerano dietro a fantomatiche assonanze di idee con il popolo tunisino, tentando di nascondere la realtà. Anche se non aiuterà a vincere la guerra delle donne arabe contro il radicalismo che avanza, il corpo di una donna terrorizza il salafismo. Che ne è morbosamente attratto, lo demonizza per controllarlo, lo cerca ardentemente, lo vuole solo per sé per soddisfare i suoi istinti più inconfessabili, ma il solo sapere che esso potrebbe vivere di vita propria è un incubo che tormenta le lunghe ore notturne in cui nemmeno la ottusa trascendenza lenisce quella insaziabile morbosità.
Combattere e abbattere ciò che più si desidera, ecco il dilemma dell’elite estremista, in ogni luogo ove essa allunghi le sue spire. Un pantaloncino, una camicetta e capelli biondi ossigenati mettono più paura di un esercito. Tanta paura da dover essere aggrediti, arrestati, dopo aver subito un periodo di sequestro in casa, nel tentativo di non credere di essere davvero pazza. Dopo essere stata riempita di farmaci e di botte, per non scappare.
Eppure fin quando questi signori non varcarono la soglia dei palazzi di potere in Tunisia, quell’abbigliamento non dava scandalo. Era, anzi, normalità. A qualcuno, in Nordafrica, la normalità incute terrore. Veli, niqab e magari anche qualche burqa, male non fanno a queste ‘donne troppo normali’, avranno pensato questi signori, che vorrebbero riportare indietro la lancetta degli orologi al Medioevo.
Collassando intere economie, perché i turisti hanno timore a venire in vacanza laddove il costume da bagno è guardato con sospetto e gli occhi delle donne sono fonte di peccato. Ecco in quali condizioni versa la Tunisia, oggi. In cui l’algerizzazione è dietro l’angolo, con i suoi 380.000 morti, in prevalenza donne. E con tutti i suoi silenzi. Un silenzio che sta colpendo anche le associazioni di donne tunisine e di cui qualcuno vorrebbe ammantare tutto il Paese, fra visite di predicatori a caccia di ragazzine da infibulare e omicidi eccellenti da coprire in fretta e furia sotto la sabbia. È lo scontro di civiltà fra estremisti salafiti e moderati. Il cambiamento che in Tunisia qualcuno vorrebbe è ciò che accade in Siria, in cui un estremista taglia via il cuore dal petto di un soldato e, in spregio della vita umana, lo mangia davanti a tutti? Amina ha il pregio di aver acceso la scintilla: ora le donne e gli uomini tunisini, moderati e lungimiranti, devono tenere vivo il fuoco della libertà. Perché se una donna in camicetta e pantaloni fa paura, non oso pensare a quello che possono fare milioni di menti aperte e pronte a rovesciare un pensiero e con esso un regime.