Sulla base di sue priorità, che prescindono tanto da quelle del suo grande alleato americano quanto da quelle dell’Unione europea, dopo aver bombardato nei giorni scorsi in Siria dei carichi di armamenti iraniani diretti forse in Libano, nelle prime ore di ieri mattina Israele ha colpito una base militare con annesso centro di ricerche situata non lontano da Damasco. L’entità dell’esplosione, che ha illuminato la notte della capitale siriana, induce a pensare che i missili aria-terra dei bombardieri israeliani abbiano fatto saltare in aria la santabarbara della base, uno dei maggiori depositi di missili del Paese. Il convoglio di automezzi probabilmente distrutto giovedì era stato poi colpito perché secondo lo spionaggio israeliano trasportava missili iraniani Fateh 110, armi che se avessero raggiunto il Sud Libano da lì avrebbero potuto tenere sotto tiro non solo Haifa ma anche Tel Aviv, ovvero le due principali megalopoli di Israele.
Grazie alla sua ben maggiore esperienza e conoscenza del mondo arabo, diversamente da Barack Obama Israele non ha mai dubitato che se l’alternativa è fra il regime di Assad e il precipitare della Siria in una situazione anche più grave di quella della Libia del dopo-Gheddafi allora è meglio che resti Assad, o che comunque la sua uscita di scena avvenga in modo concordato e quindi non catastrofico. Tuttavia ritiene di poter “scommettere” che questi suoi bombardamenti non faranno scoppiare una vera e propria guerra nel Vicino Oriente per due motivi: da un lato perché stima che Assad, assorbito come è dall’urgenza di fronteggiare i propri nemici interni, non sia in grado di reagire a tali attacchi; dall’altro perché l’obiettivo di tali attacchi non è tanto lui quanto gli hezbollah del Sud Libano, destinatari degli armamenti iraniani bombardati dagli aerei di Israele, che per Assad sono degli utili ma ingombranti alleati, trattandosi della longa manus dell’Iran. È questa la partita di gioco d’azzardo che si sta adesso giocando nel Levante, dove però le pedine non sono fishes della roulette ma uomini, donne, bambini che muoiono o restano mutilati o straziati dalla tragedia cui sono sopravvissuti.
In estrema sintesi è questo un altro episodio della storia ormai da tempo cominciata del ritiro degli Stati Uniti dallo scacchiere del Mediterraneo, dove perciò si apre un vuoto che potrebbe venire positivamente riempito solo dall’Unione europea e in particolare da quei suoi membri cui la storia e la geografia assegnano un ruolo di primo piano nell’area, dunque innanzitutto l’Italia.
Chissà mai che l’attuale governo si dimostri meno prono agli interessi nord-atlantici di tutti quelli che l’hanno preceduto, e quindi almeno tenti di intervenire nella crisi siriana per favorirne una soluzione politica. L’Italia ne avrebbe tutto il dovere e anche tutto l’interesse. Tenuto conto della situazione in cui il governo Letta si trova, nonché della sua composizione, sarebbe un miracolo ma, diversamente da quanto qualcuno sostiene, talvolta i miracoli accadono.