Ministro della Difesa ininterrottamente dal 1959 al 1966 e altrettanto ininterrottamente ministro degli Esteri dal 1983 al 1989 negli anni della “guerra fredda” (ovvero in un’epoca nella quale ai posti-chiave nel governo del nostro Paese si poteva venire nominati soltanto previo nullaosta di Washington), e più tardi presidente del Consiglio e/o ministro degli Esteri dal luglio 1976 sino alla fine della Prima Repubblica nell’estate del 1992, Giulio Andreotti riuscì ciononostante a tutelare in tutta la misura del possibile il fondamentale interesse geo-politico italiano, che è in primo luogo mediterraneo. Questo a mio avviso è il suo maggior merito storico, tanto più considerando il peso davvero consistente che la politica estera ebbe nella sua azione politica.
Sconfiggendo Hitler e Mussolini gli Alleati avevano reso un servizio impareggiabile alla causa della libertà e dei diritti umani, ma obiettivamente insieme ai due dittatori avevano sconfitto e travolto anche i Paesi di cui si erano impadroniti con il loro legittimo interesse geopolitico mediterraneo ovvero continentale-danubiano. Nell’immediato non sarebbe stato possibile niente di meglio, ma sta di fatto che a causa di ciò da allora fino ad oggi la causa dell’Occidente si è identificata con quella del mondo nord-atlantico (e correlativamente la causa europea si è identificata con quella dei membri nord-atlantici dell’Unione). Tanto e vero che fino ad oggi l’alleanza principale cui il nostro Paese aderisce è la Nato, ossia l’“Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord”; e ciò malgrado che l’Italia stia da tutt’altra parte, appunto nel Mediterraneo e nient’affatto sulle lontane rive del Nord Atlantico.
Tale collocazione innaturale, pur se al momento inevitabile, era ulteriormente rafforzata dalla logica di schieramento della “guerra fredda”, che vedeva l’Occidente (così come era uscito dalla Seconda guerra mondiale) in campo contro l’unica grande potenza continentale uscita vincitrice dalla guerra, la Russia, a sua volta in ostaggio dell’impresentabile dittatura comunista sovietica.
In questa situazione davvero ardua, caratterizzata da ferree contrapposizioni, Giulio Andreotti da un lato seppe guadagnarsi e conservare nel tempo l’indispensabile consenso degli Stati Uniti, e dall’altro trovò il modo di tenere aperta all’Italia la via del Levante riuscendo a muoversi con la più grande abilità nel groviglio di tensioni che ormai da quasi un secolo caratterizza il Vicino e Medio Oriente. Un groviglio dovuto molto a motivi interni, ma moltissimo a impulsi esterni provenienti da quelle potenze sia politiche che economiche le quali preferiscono che la regione, ponte naturale fra l’Europa mediterranea e l’Asia, resti chiusa o comunque poco praticabile (una politica di lungo periodo – osserviamo per inciso – di cui l’attuale gestione della crisi siriana è soltanto il più recente episodio).
Pur senza affatto negare né sacrificare i legittimi diritti di Israele, né tanto meno mettere in forse i vincoli e le responsabilità dell’Italia in quanto Paese membro della Nato, Andreotti non smise mai di tessere una rete di relazioni nel mondo arabo sostanzialmente basate sul principio della reciproca comprensione dei vincoli di ciascuna parte in causa. Una “filosofia” molto apprezzata nel Levante che gli guadagnò un sorprendente riconoscimento: il titolo di rispetto di “rais”.
Ricordo ancora di aver sentito a Bagdad, dopo la guerra del Golfo, un’alta personalità irachena esprimersi così a proposito della partecipazione del nostro Paese alla guerra del Golfo con i suoi attacchi aerei tra l’altro mirati a colpire oleodotti e centrali di pompaggio di produzione italiana in parte ancora da pagare alle nostre imprese che li avevano costruiti: “Ci dispiace che ci abbiate fatto la guerra anche voi, ma capiamo che dopo che pure la Francia era scesa in campo il rais Andreotti non potesse fare diversamente. E poi ci avete mandato contro degli aerei che erano di base così lontano dai nostri confini che raramente riuscivano ad arrivare a bombardarci…”.
Quando di tante contingenti polemiche si sarà persa la memoria, di certo qualche storico finalmente scoprirà quale cruciale ruolo abbia avuto Andreotti nel tenere al riparo il nostro Paese dalle lacrime e dal sangue dei grandi attentati del terrorismo islamico degli ultimi decenni del secolo scorso. Chi con tanta leggerezza lo accusava di essere Belzebù farebbe bene a non dimenticarselo.