Non stupiscono per nulla le notizie che giungono dalla Siria. Non stupisce sapere che alcuni cittadini belgi, come riporta il quotidiano Der Standaard, avrebbero partecipato ad una decapitazione e ad alcuni stupri di gruppo ai danni di “miscredenti”. Non stupisce per nulla sapere che molti cittadini europei partano lancia in resta per andare a combattere la guerra santa in Siria. Non stupisce perché i dati sulle partenze sono clamorosi. Non solo miliziani jihadisti dal mondo arabo, infatti, ma anche dal vecchio continente. 



La denuncia che Le Figaro pubblica sulla questione siriana fa riflettere: 800 cittadini europei hanno lasciato le proprie abitazioni e hanno raggiunto i luoghi del combattimento in Siria. Aleppo in particolare, dove le violenze sono all’ordine del giorno. Francesi, franco-siriani, kosovari, turchi, irlandesi, belgi, britannici e così via: mai così tanti cittadini europei avevano raggiunto un territorio di guerra in un così breve tempo, un tempo che non tocca nemmeno l’anno. 



Più di due cittadini europei al giorno hanno lasciato il continente per andare a combattere. Tutti giovani, massimo trentenni o quarantenni, reclutati fra le classi medio-basse, tantissimi convertiti ad un islam radicale che ormai in alcuni Paesi la fa da padrone. Non possiamo dimenticare, in questa ottica, che il gruppo “Sharia For Belgium” da anni ormai propaganda la totale e incondizionata islamizzazione del Belgio, appoggiato da elementi progressisti, convinti che l’accoglienza sia accettazione e sottomissione a tutti i costi. E siamo al punto che il Belgio ormai è islamico, visto che la maggioranza dei belgi professa la religione islamica, d’origine o per conversione. 



Ma il dato allarmante, al di là della concezione positiva o negativa sul fenomeno delle conversioni, è il tipo di islam al quale ci si converte. Il Belgio è la roccaforte del salafismo militante in Europa e da lì partono le “truppe” jihadiste indottrinate a dovere con i sermoni degli imam fatti venire appositamente dall’estero con il chiaro intento di radicalizzare le comunità. Anche da noi il fenomeno esiste ma è, fortunatamente, embrionale e tenuto ben sorvegliato dai nostri servizi che più di una volta hanno sgominato cellule intente a preparare azioni terroristiche. Ma questo non esclude che le partenze anche dal nostro Paese siano frequenti e piuttosto massicce, soprattutto da parte di maghrebini. 

In Siria, e anche questo non è un mistero, gran parte dei combattenti della jihad contro Assad è di provenienza estera e fra di essi spiccano i convertiti di ferro, giovani adepti addestrati al massacro, che, come risulta dai rapporti dell’Interpol e dell’antiterrorismo internazionale, raggiungono la Siria dopo aver effettuato un intenso “apprendistato” al jihad in Afghanistan piuttosto che nello Yemen, o dovunque vi siano campi di addestramento. 

Le autorità belghe, una volta appresa la notizia della partecipazione di questi giovani alle violenze e ai massacri, li hanno chiamati “i nostri ragazzi”. Quelli, mi permetto di chiosare, non sono più i ragazzi di questo o di quel Paese: sono i soldati del terrore, sono le lame della morte, sono le ombre di ciò che erano fino a quando non hanno incontrato un predicatore con gli occhi iniettati di odio. “I nostri ragazzi”, come li chiamano le autorità belghe ormai totalmente soggiogate al ricatto estremista, sono lo specchio dell’effetto criminogeno del multiculturalismo applicato.