Dopo un giorno di scontri caotici, ieri i manifestanti di piazza Taksim sono stati sgomberati con la forza. Il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, è intervenuto con durezza contro le proteste che hanno creato la crisi più grave da quando è salito al potere dieci anni fa. La polizia in tenuta antisommossa ha fatto irruzione in piazza Taksim, utilizzando quantità ingenti di gas lacrimogeno e sparando con i cannoni ad acqua. Ilsussidiario.net ha intervistato il giornalista e scrittore algerino, Khaled Fouad Allam.
Come si spiega la rivolta in atto in Turchia da alcuni giorni?
La Turchia è considerata complessivamente come un Paese democratico, anche se la sua deriva autoritaria negli ultimi dieci anni desta preoccupazione. Ad aumentare l’importanza di quanto sta avvenendo è il fatto che Ankara funge da modello nei confronti dei Paesi arabi. Emblematico è il suo tentativo di entrare a far parte dell’Unione Europea, anche se il dossier è tuttora aperto. Le rivolte in Turchia fanno parte di una crisi del sistema, e non cadrei quindi nel tranello di un paragone con la Primavera araba, in quanto la situazione è totalmente diversa.
Quali sono le differenze tra Occupy Giza e la Primavera araba?
Se prendiamo la Turchia come un laboratorio del rapporto tra Islam e politica, e in particolare tra Islam e democrazia, quanto sta avvenendo rientra in una crisi di evoluzione del sistema. L’esperienza turca è un unicum nella storia dei Paesi islamici e oggi si trova a un bivio. Il problema non è soltanto turco, ma è legato a tutto il mondo islamico.
In che cosa consiste questo problema?
Nel mondo musulmano la laicità è un fatto che può essere accettato, mentre la secolarizzazione trova ostacoli molto forti. Il fenomeno religioso è di tipo soggettivo e l’Islam si trova a convivere con altre situazioni identitarie, che possono essere diverse e che devono coesistere.
Erdogan vuole riportare la Turchia al “Medioevo” islamico?
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una lenta islamizzazione della società turca attraverso provvedimenti legislativi relativi a questioni come la vendita di alcolici e l’utilizzo del velo. Quanto ci si chiede è se questa sia una tendenza a riformulare degli oggetti simbolici, oppure se siano scelte che caratterizzano la carta d’identità del regime. Nessuno però ha in mano la risposta, tutto rientra nell’esperienza democratica che sta compiendo questo Paese e che può portare a complessi dilemmi che implicano aspetti culturali, filosofici e sociali.
Resta il fatto che tra Ataturk ed Erdogan c’è stata un’involuzione …
Quello di Ataturk era un altro contesto storico, dominato dal nazionalismo ottocentesco. Non ha quindi senso fare paragoni tra Ataturk ed Erdogan, si tratta di due situazioni storiche, filosofiche e politiche completamente diverse. La valenza di Erdogan è stata quella di creare una cultura democratica all’interno dell’Islam. L’esempio però di piazza Taksim tende a dimostrare il contrario, e questa può essere una deriva pericolosa non soltanto per Erdogan, ma per ciò che può rappresentare l’esperienza turca in tutto il Medio Oriente.
Fino a che punto nella Turchia di Erdogan sono consentite la libertà di parola e il diritto di critica?
In Turchia esistono due società, quella di Twitter e il potere. E’ evidente che quest’ultimo non si comporta esattamente come vorrebbe la società di Twitter, in quanto il social network dà voce a quanti desiderano una libertà di opinione senza alcuna limitazione. Da questo punto di vista il governo di Erdogan dovrebbe compiere uno sforzo maggiore.
Nel mondo musulmano possibile elaborare un modello di Stato laico diverso da quello fatto proprio dall’Europa scristianizzata?
Sì, e proprio per questo considero l’esperienza turca come qualcosa di importante che non deve fallire. Se non si riuscisse nel tentativo di formulare una democrazia che appartenga all’Islam e che si adatti alle differenti situazioni proprie della modernità, ciò comporterebbe enormi rischi per tutti gli altri Paesi islamici.
Per quale motivo?
La grande crisi dell’Islam contemporaneo, che è in cerca di una via islamica alla democrazia, passa attraverso determinate esperienze storiche. Nel tempo anche nei Paesi musulmani si è affermata un’identità nazionale, quello che continua a mancare è la cultura democratica.
(Pietro Vernizzi)