Oltre due anni di conflitto e 93mila morti, di cui 6.500 minorenni. E’ il bilancio della guerra in Siria, il cui presidente Assad considerato sul punto di cadere fin dall’inizio del conflitto, da alcuni mesi ha ricominciato a conquistare posizioni. A differenza dell’Esercito egiziano, che spazzò via Mubarak dopo 17 giorni di proteste, e di quello tunisino che fece altrettanto con Ben Alì, quello siriano è rimasto fedele a un sanguinario dittatore come Assad. Più dei proclami dell’Onu, più degli ultimatum di Obama, più della volontà di Francia e Regno Unito di organizzare un intervento in stile Libia, a decidere le sorti della rivolta siriana sono stati i fanti dell’Esercito di Assad, che invece di disertare sono rimasti dalla parte del regime.
Mentre l’Occidente si affanna a organizzare una conferenza di pace a Ginevra, Assad prosegue l’offensiva in quanto non si fida di una pace negoziata dal nemico americano ed è convinto, a torto o a ragione, di potere vincere la guerra in tempi non poi così lunghi. Solo un intervento occidentale potrebbe rovesciare le sorti del conflitto, ma intanto i capi di Stato dei tre principali alleati dei ribelli, Qatar, Arabia Saudita e Turchia, traballano e sono sul punto di essere rimpiazzati da nuovi leader. Ilsussidiario.net ha intervistato Ammar Waqqaf, uno dei più acuti osservatori siriani della guerra che sconvolge il suo Paese, nonché volto noto di tv come BBC e Russia Today.
Qual è il valore strategico della battaglia per Aleppo e quali potrebbero essere le conseguenze a seconda che vincano il governo o i ribelli?
Credo che ciò che si può considerare realmente strategico è che dopo più di due anni di conflitto il governo abbia ripreso l’iniziativa, un paio di mesi fa con la battaglia attorno a Damasco, dopo la quale i ribelli hanno continuato a perdere terreno. La battaglia per Aleppo, che è stata definita la “Bengasi della Siria”, è particolarmente importante, per la sua vicinanza al confine turco e per la simpatia verso i ribelli manifestata nelle aree rurali che la circondano. Questa zona era stata indicata per la costituzione di una no-fly zone, o comunque di un’area in cui i ribelli sarebbero stati protetti da forze internazionali, e a questo fine erano rivolte le attività degli insorti sul terreno. Tuttavia, la popolazione di Aleppo città è per la maggior parte contraria ai ribelli e questo ha impedito che i ribelli prendessero il controllo dell’intera regione. Dopo questi due anni di Guerra civile, l’esercito siriano sembra essere ancora fedele a Bashar Al-Assad.
Per quale motivo il controllo di Assad sull’esercito è così forte?
La chiave per capire perché l’esercito, ma in realtà tutte le altre istituzioni dello Stato, sono ancora integre e fedeli al governo è rendersi conto del motivo per cui molti siriani si sono rifiutati di unirsi all’insurrezione. Ciò è dovuto soprattutto alle vere ragioni che stanno dietro alla rivolta, come le divisioni settarie e la lotta di classe ed economica, ragioni che rappresentano una minaccia proprio al tessuto dello Stato. Da tempo molti siriani hanno deciso che lo Stato è la migliore soluzione per loro e i loro figli. Fin dall’inizio, la convinzione è stata che i regimi in Qatar e Arabia Saudita non possono sostenere in Siria una rivoluzione veramente progressista. In sintesi, i siriani continuano ad andare al lavoro nelle istituzioni, non solo nell’esercito, e così hanno tenuto in piedi lo Stato durante tutto questo periodo.
Qual è l’importanza dell’intervento di Hezbollah nella rimonta di Assad?
Nessuno lo sa veramente. Non è chiaro quale sia stato il ruolo di Hezbollah nella riconquista di Qusair da parte dei governativi. L’esercito siriano non ha bisogno né dei combattenti che Hezbollah è desiderosa di mettere a disposizione, né della potenza di fuoco che potrebbe fornire. In realtà vale il contrario e, per quanto è dato capire, è la Siria che fornisce armi a Hezbollah, non viceversa. Ricordo che i due missili a lungo raggio lanciati da Hezbollah su Haifa nell’estate del 2006 durante la guerra con Israele erano di fabbricazione siriana. Il contributo di Hezbollah può essere stato, più semplicemente, nell’intercettare i rifornimenti a Qusair sullo stesso territorio libanese. Su questo però non c’era bisogno di rilasciare dichiarazioni, perciò rimane non chiara la ragione per cui la partecipazione di Hezbollah nella battaglia è stata annunciata in modo ufficiale. Personalmente, penso che questo annuncio sia in linea con la dichiarazione di Assad circa un maggiore coordinamento nelle prossime battaglie da parte della “Resistenza” (l’alleanza Siria, Iran, Hezbollah). Stiamo a vedere cosa succederà.
Secondo il ministro degli Esteri britannico, William Hague, i successi di Assad avranno un impatto negativo sulla possibilità di tenere la conferenza di Ginevra. Lei è d’accordo?
Credo sia logico pensare che le potenze occidentali si siano affrettate a stabilire un accordo con la Russia per tenere Ginevra II, così da massimizzare il vantaggio per le opposizioni (cioè la parte che sostengono), prima che i recenti successi governativi diventino più consistenti e lascino poco potere di contrattazione alle opposizioni. Tutti concordano sul fatto che la situazione sul campo di battaglia sia la chiave di qualsivoglia soluzione politica. La paura che il governo prenda il sopravvento sui ribelli, unita alla difficoltà di portare al tavolo delle trattative un’opposizione estremamente frammentata e la cui ala politica ha poco potere sulle forze combattenti, sta effettivamente mettendo in dubbio Ginevra II. L’Occidente probabilmente preferirebbe una lunga battaglia, nella speranza che possa in futuro accadere qualcosa di favorevole, a una soluzione negoziata da cui non trarrebbero molti vantaggi. Questo spiega perché Regno Unito e Francia spingano fortemente per la cancellazione dell’embargo Ue sulla fornitura di armi in Siria, in modo da tenere aperta la possibilità di fornire armi ai ribelli proprio in questa evenienza.
Non tutti però in Europa la pensano come Francia e Regno Unito …
Altre potenze occidentali sembrano pensare che sia impossibile controllare i leader dei ribelli sul campo, o i signori della guerra, e che costoro abbiano il potere di capovolgere ogni soluzione politica, come è già avvenuto per i cessate il fuoco decisi dall’Onu. La situazione è ancor più complicata dalla lotta nascosta di questi signori della guerra ai politici dell’opposizione, che esprimono apertamente dicendo che “a parlare dovrebbero essere quelli che stanno in trincea, non negli alberghi”. Molti pensano che il loro potere dovrebbe essere ridotto se si vuole che i rappresentanti politici possano avere un minimo di potere contrattuale al tavolo delle trattative. Se poi si aggiunge la presenza di “Jabhat al-Nusra”, l’organizzazione affiliata ad Al Qaeda che è tuttora sulla lista Ue delle organizzazioni terroriste, si ha il quadro estremamente complesso che i politici della Ue devono affrontare.
Quanto potrà ancora durare la guerra in Siria senza una soluzione politica e che alternative ci sono alla conferenza di Ginevra?
Ci sono alcuni fattori che possono delineare un’alternativa. Primo, la parte di siriani che hanno appoggiato finora l’insurrezione possono perdere fiducia nella rivoluzione e nei personaggi politici dell’opposizione, decidendo di accettare il fallimento dei loro sforzi per abbattere il regime. In tal caso, il governo potrebbe dichiararsi vittorioso. In secondo luogo, consideriamo le potenze regionali dietro la rivolta, cioé Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Nei primi due Stati potrebbe avvenire un cambiamento nella guida del Paese: il re Abdullah in Arabia sembra prossimo ad abdicare e circolano voci su un possibile passaggio di poteri in Qatar dallo sceicco Hamad a suo figlio Tamim. Inoltre, la Turchia sta affrontando una serie di tensioni al suo interno e potrebbe anche qui avvenire un cambio di leadership. Tutto ciò potrebbe portare a un cambiamento nella posizione di questi tre Paesi nei confronti della Siria, con serie conseguenze negative per i finanziamenti e gli armamenti ai ribelli, e anche questo porterebbe a una vittoria finale del governo. Entrambi gli scenari farebbero prevedere 6-12 mesi di intensi combattimenti, fino all’esaurimento delle risorse dei ribelli, e altri 2 – 3 anni per riportare completamente l’ordine in Siria. In conclusione, la conferenza di Ginevra sembra l’ultima possibilità per una soluzione politica da cui l’opposizione possa trarre qualche vantaggio significativo. Si sa che Israele teme sia Assad, alleato dell’Iran, sia i jihadisti.
Qual è dunque l’obiettivo reale in Siria di Israele e degli Stati Uniti suoi alleati?
L’aspirazione immediata di Israele è quella di spezzare la “Resistenza”, cioè l’alleanza tra Siria, Iran e Hezbollah, che considera i suoi nemici strategici, e il collasso dello Stato siriano sarebbe il vantaggio maggiore per Israele, anche se la Siria cadesse in mano ai jihadisti. Da questi non potrebbero venire troppi danni e la loro minaccia potrebbe essere radicalmente ridotta attraverso un più stretto controllo delle frontiere. Per esempio, i jihadisti non vengono ritenuti capaci di sviluppare una minaccia nucleare. Inoltre, la caduta del governo siriano renderebbe più facile all’Occidente l’isolamento dell’Iran, che porterebbe alla caduta anche di questo nemico ideologico. Tuttavia, ciò che realmente interessa Israele è che, con la Siria fuori dallo scenario, sarebbe più facile convincere i palestinesi a rinunciare al diritto del ritorno, rendendo possibile a Israele negoziare una pace stabile secondo le sue condizioni.
In conclusione, chi è realmente interessato a destabilizzare la Siria?
All’interno della Siria, i personaggi politici dell’opposizione, molto divisi tra loro e incapaci di un consistente programma politico comune, vorrebbero vedere cadere il governo per sostituirsi ad esso, in un’operazione di stile libico. Costoro, in confronto ai signori della guerra, non controllano granché sul terreno e il governo potrebbe facilmente sfruttare le loro divisioni interne a proprio vantaggio durante le trattative. Dal canto loro, i signori della guerra non gradirebbero vedere i politici, che viaggiano in prima classe e alloggiano in alberghi a cinque stelle, raccogliere i frutti del loro sudore e sangue e preferirebbero una vittoria militare del governo, che li farebbe applaudire come eroi. Le già citate potenze regionali non possono tollerare una situazione in cui siano costrette a trattare ancora una volta con Assad e non sono interessate ad alcuno scenario in cui costui sia ancora al potere. Da parte sua, Israele non vuole avere un governo solido in Siria, chiunque lo guidi. A mio parere, le uniche potenze che hanno un vero interesse a stabilizzare la situazione in Siria sono l’Ue e la Russia, che non hanno alcuna intenzione di vedere una presa del potere da parte di una destra islamica, con possibili ripercussioni sulle loro situazioni interne.
(Pietro Vernizzi)