Le manifestazioni in Turchia sono cominciate lunedì scorso, principalmente a Istanbul, nel centro vicino alla grande piazza storica della città, piazza Taksim. Sono stati abbattuti 600 alberi, un bosco splendido, Gezi, il polmone verde della grande città, per costruire un centro commerciale. Migliaia di cittadini sono scesi in strada e sono stati caricati con inaudita violenza dalla polizia. Al momento si contano due morti, centinaia di feriti e più di sessanta arresti. Ma il bilancio degli scontri potrebbe diventare molto più pesante. La grande protesta che sembrava limitata a Istanbul, nel giro di cinque giorni è diventata un imponente moto di protesta che attraversa tutte le città della Turchia.



Le piante abbattute in piazza Taksim sembrano solo il detonatore di una protesta che investe tutto il Paese e ha ormai un’altra finalità: denunciare e contestare la politica di lenta ma inesorabile islamizzazione che il capo del governo, Erdogan, sta imponendo al paese di Ataturk. La vicenda del parco Gezi sembra la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso.



Selin Sanli è corrispondente dall’Italia per la radio e televisione turca Trt. E’ in contatto permanente con i suoi colleghi per comprendere gli avvenimenti di Istanbul e di tutta la Turchia. Dice: “Sì, ormai la questione dell’abbattimento degli alberi a piazza Taksim ha assunto un altro significato. Non c’è dubbio. C’è un moto di protesta popolare, in tutte le città turche, contro il governo di Erdogan, contro la sua politica di costante e lenta islamizzazione”.

Eppure, il vostro capo del governo passa per un islamico moderato in Occidente.

Qui non si tratta di discutere la posizione del capo del Governo. Molti turchi fanno notare di essere dei musulmani credenti e praticanti, ma anche figli di Ataturk, cioè del fondatore dello Stato laico in Turchia. E invece le cose stanno lentamente cambiando, inesorabilmente. C’è sempre più un richiamo alla religione che non è ben sopportato dalle persone.



Si possono fare alcuni esempi?

Oggi, in un Paese dove le donne hanno ottenuto il diritto al voto negli anni Trenta, ci sono sempre più veli sul volto che in passato. Da poco tempo è stato introdotto il divieto degli alcolici dopo le otto di sera. In una grande città come Istanbul, una grande capitale, ricca di turisti, dopo le otto di sera non si può più nemmeno comperare una birra. Si percepisce che c’è uno slittamento verso una società meno laica e questo sta irritando le persone.

Lo stesso governo ha ammesso che l’intervento della polizia è stato troppo pesante, quasi un’autocritica.

L’intervento delle forze dell’ordine è stato pesantissimo. Ci sono morti, persone che sono diventate cieche, centinaia di feriti. Quello che ha fatto poi più impressione è che ben poche televisioni (e ce ne sono una ventina) hanno trasmesso notizie sui fatti di piazza Taksim e sulla reazione che c’è stata in tutte le città turche. La maggior parte delle notizie, delle prime notizie sugli scontri di piazza Taksim, è arrivata via twitter. Anche questo non ha fatto una bella impressione.

 

Questi disordini e queste proteste in Turchia sembrano paradossali. La Turchia sta vivendo, nella crisi economica mondiale, un momento di buona espansione o quanto meno di maggiore stabilità che nell’area euro. Eppure questo non basta.

E’ vero quello che lei dice. Ma la laicizzazione dello Stato è stata per la Turchia un passaggio fondamentale della sua storia moderna. I turchi non rinnegheranno mai questa scelta, non vi rinunceranno mai. Questo è il motivo reale della protesta. Molti vedono che quel tipo di grande svolta sembra al momento compromesso e non lo tollerano.

 

Tutto questo significa che questa protesta non rientrerà facilmente.

Non credo che la protesta si riassorbirà in poco tempo. Le ragioni sono profonde, sono connaturate alla Turchia moderna e nessun turco vuole ritornare indietro.

 

(Gianluigi Da Rold)