Che l’America Latina abbia avuto uno sviluppo notevole nell’ultimo decennio è cosa risaputa, così come la superficialità con cui l’Europa ha sempre trattato questo continente. Ma sono passati un bel pò di anni dai cartoni animati di Walt Disney con il pappagallo Josè Carioca e Pippo in versione gauchesca. La realtà è quella di Paesi che hanno messo in moto le loro grandissime risorse mediante politiche molto diverse : da un lato i regimi nazionalpopolari che, specie in Venezuela e Argentina (ma più per la seconda che per la prima nazione ) si sono rivelatì dei modelli atti all’appropriazione del potere da parte di una oligarchia che, ovviamente in nome del popolo, ha pensato e pensa a farsi i suoi di interessi.
Il caso del Brasile è invece emblematico, dato che la Nazione è diventata una potenza che ormai non ha più nulla di emergente, ed il compromesso politico emerso con l’elezione dell’ex sindacalista Lula ha permesso a questo paese, tra i vari traguardi, anche quello di trasformarsi da debitore a creditore degli Stati Uniti.
Il vento in poppa è continuato anche per l’enorme fortuna collegata con la scoperta di immensi giacimenti di petrolio nelle sue acque territoriali, fatto che ha dato una spinta ancora più notevole al suo sviluppo. Gli investitori stranieri hanno avuto a disposizione delle potentissime calamite per creare attività: finanziamenti statali sia sui terreni che sulla costruzione delle fabbriche, una partecipazione dello Stato alle imprese che hanno avuto il solo obbligo di assumere mano d’opera locale. Ma non solo. Attraverso annunci sui giornali di mezzo mondo il Brasile ha attirato giovani meritevoli finanziandone i progetti. Nel solo caso degli Italiani, questi hanno prodotto con le loro idee utili per circa 30 miliardi di dollari, il che che dovrebbe far morire di vergogna il nostro sistema che invece li esclude.
Non è raro trovare in Brasile gente che svolge due lavori, quindi gode di un certo benessere rispetto ad un passato spesso vissuto con una miseria assoluta in nome di un liberalismo corrotto che ha contraddistinto specialmente la presidenza di Collor de Mello negli anni novanta.
La miseria non è stata ancora sconfitta ma il Brasile è secondo solo all’India per la percentuale di popolazione che annualmente entra a far parte della classe media.
E’ il Brasile dei record in tutti i sensi, un Paese dove la sua moneta ha ormai un valore molto forte sul dollaro, dove (caso eclatante e solo per la cronaca) le sue squadre di calcio arrivano in Europa a fare incetta di calciatori pagandoli profumatamente. Ormai il turismo, grande industria locale negli ultimi decenni, si è trasformato da incoming in outgoing, visto che le comitive di Brasiliani in giro per il mondo non costituiscono più una novità.
Ma allora che senso hanno le grandi proteste di questi giorni, le masse che chiedono a gran voce di cancellare i mondiali di una passione viscerale per i Brasiliani quale il calcio?
Il Brasile di fatto è un continente vastissimo e molto popolato, enclave portoghese nella dominazione spagnola, e quindi culturalmente differente dal resto del Continente. Ricchissimo da sempre, ma con una ricchezza che è rimasta monopolio di una casta dominante che ha esercitato un potere immenso fino a non molti anni fa. E sopratutto con un nazionalismo esasperato nella sua passionalità che ha di fatto reso possibile il decollo economico coinciso con la presidenza di Lula da Silva: però, come accaduto ad esempio in Cile, il progressismo al potere non ha significato la chiusura al dialogo con la borghesia imprenditoriale e benestante, cosa che avrebbe portato da uno scontro, ma bensì l’apertura di un dialogo che ha permesso il raggiungimento di un compromesso o se si preferisce una osmosi proprio in nome della Patria comune. Cosa che ha portato da subito a dei problemi grandissimi, con dimissioni di diversi ministri, dovuti alla parziale retromarcia di Lula su alcuni punti del suo programma, specie in relazione all’ambiente. E’ realmente impressionante vedere, come è successo a chi scrive addirittura nel 1983, che vastissime zone dell’Amazzonia Brasiliana siano state disboscate e adibite a pascolo o a coltivazioni quando il terreno ormai incolto per lo sfruttamento sia ad un passo da trasformarsi in deserto. Per non parlare dello sfruttamento minerario intensivo che, come in Argentina, provoca immensi problemi di sopravvivenza delle tribù originarie quando non la loro distruzione.
A Lula è succeduta Djilma Rousseff e quindi anche il Brasile ha la sua “Presidente”. Che però non intasa i canali televisivi di discorsi autoreferenziali e zeppi di bugie sulla situazione reale del Paese come la sua vicina Argentina.
Purtroppo per lei però, i nodi lasciati da Lula sono arrivati al pettine mettendo in risalto le distonie di una società che marcia a velocità pazzesca, nonostante la crisi mondiale che non la ripsarmia del tutto, con numeri da economia asiatica ma dotata di un sistema di servizi sociali davvero sconvolgente e veramente non degno di un Paese così progredito.
Ecco allora la gente comune sollevarsi, protestare, dire a gran voce che un ospedale decente vale più di un mondiale di calcio o di una olimpiade dove vengono profusi capitali giganteschi a livello di immagine, con i quali si potrebbero costruire centinaia di strutture mediche e ospedaliere oltre ad avere un sistema di trasporti decente ed a prezzi abbordabili.
Tanto per fare un esempio ha fatto un certo effetto tempo fa vedere il sindaco di Rio de Janeiro, sede delle prossime Olimpiadi, agitare la bandiera olimpica donatagli dal sindaco di Londra sullo sfondo di un aereo dell’Air France che lo aveva riportato in Brasile. La tanto amata VARIG, una delle migliori aerolinee mondiali, è morta e sepolta da uno scandalo per sparizione di fondi dalle sue casse che fa apparire tutta la recente vicenda di Alitalia come una storiella di poco conto: di fatto il Brasile non ha ancora una Compagnia aerea di riferimento degna di questo nome, cosa importantissima in un Paese così esteso e spesso con mete irraggiungibili per via terrestre, marittima o fluviale. La protesta continua e si è estesa alle principali città di questo Continente dalle molteplici facce: un vero problema che però la Presidente Rousseff non nasconde e anzi, in un suo discorso, ha ammesso di giustificare le proteste, al contrario della sua dirimpettaia Cristina Fernandez de Kirchner. E difatti se il Brasile e l’Argentina, nonostante le loro immense ricchezze, versano in due situazioni diametralmente opposte, la differenza si capisce proprio da questi episodi.