Caro direttore,
Come tutti ben sanno la protesta è iniziata per l’aumento del costo degli biglietti del tram di 20 centesimi: un gruppo di studenti di San Paolo dunque è sceso in piazza per manifestare in modo pacifico, ma il governo li ha bollati come “vandali” dicendo che la loro protesta era violenta. Dal quel momento le manifestazioni si sono moltiplicate e hanno preso il via anche in altre città.
Se consideriamo che a un certo punto la reazione della polizia è stata esagerata, capiamo perché questo fatto ha infuocato l’opinione pubblica, che si è schierata contro la risposta non adeguata del governo a quella che era una domanda adeguata da parte del popolo. Tutta la nazione si è quindi convinta di dover esprimere il suo disappunto e più di un milione di persone, in cento città, si sono ritrovate nelle strade, soprattutto dopo aver visto che il governo aveva deciso di riabbassare il prezzo dei mezzi pubblici. La gente ha capito di disporre di un grande potere: quello di manifestare, inteso nel senso di “manifestarsi”, rendere palese i propri bisogni oggettivi e in questo modo avere in risposta non un atto retorico ma pratico, cioè l’abbassamento dei biglietti.
La gente ha capito che non si deve mollare ma che bisogna insistere per i propri diritti: non c’è nessuna ideologia dietro le proteste, ma una richiesta di fatti concreti, come l’aumento della qualità degli ospedali, delle scuole e dei trasporti. I brasiliani non si stanno muovendo per difendere un’opinione ma per chiedere un cambiamento concreto, immediato e tangibile e credo che questa sia una cosa stupefacente, che ha avuto una prima risposta nell’abbassamento del prezzo dei mezzi pubblici.
Ci sono stati dei tentativi di partiti di sinistra – ricordo, per inciso, che il governo è di sinistra – di aggiungersi alle manifestazioni ma sono stati rifiutati, perché nessuno sta combattendo una guerra intestina o tra partiti né, tanto meno, una battaglia ideologica. Quello che sta succedendo qui in Brasile ricorda da vicino i fatti accaduti di recente in Turchia con le proteste di Gezi Park, per il fatto che, in entrambi i casi, social network hanno giocato un ruolo decisivo nell’allargare la protesta, e perché in entrambi i Paesi la classe media, negli ultimi 15 anni, sta colmando il suo gap con le classi ricche.
Eppure, nonostante questo, in Brasile i servizi pubblici – trasporto, educazione e salute – non si sono saputi adeguare, rimanendo ad un livello inaccettabile e il popolo di questo è scontento. Il secondo fattore, poi, entrato in gioco è una crisi della rappresentanza politica, che si è dimostrata più interessata ad acquistare potere e ad attenersi agli alti standard previsti per gli stadi che ospita i Mondiali di calcio, che al bene comune.
Per tutti questi motivi, e a fronte del fatto che un primo traguardo lo si è ottenuto, credo che le manifestazioni continueranno, e sono contento nel vedere che molti giovani e molti studenti universitari hanno deciso di non far finta di nulla ma di scendere in piazza per i loro diritti, con manifestazioni che al 99 per cento, ci tengo a ricordarlo, sono pacifiche.
Alexandre Ferraro, dipartimento di Pediatria dell’Università San Paolo del Brasile