La protesta di Istanbul continua. Non è facile predire come andrà a finire quello che è nato come un movimento a difesa di un parco nel centro cittadino della città tra i due Continenti e si è trasformata, dopo l’intervento violento della polizia, in una protesta contro l’islamizzazione di un paese profondamente secolare che il primo Ministro Erdogan sta cercando di introdurre.
Quel che è certa è la sconfitta dello stesso primo Ministro. I sondaggi lo danno in calo ben al di sotto della soglia del 40 per cento, quando nelle ultime votazioni ha quasi sempre raggiunto o superato il 50 per cento delle preferenze. Alcuni sondaggi lo indicano addirittura al 35 per cento, il minimo storico per il partito al potere ormai da dieci anni.
La sconfitta di Erdogan è totale, perché sembra sempre più un uomo solo al comando, dato che qualche voce critica sembra alzarsi all’interno del suo partito Giustizia e Sviluppo. Negli ultimi anni la figura del primo ministro è sempre stata prominente, ma una parte della sua debolezza deriva dal fatto che quando ci saranno le prossime elezioni non potrà più ricandidarsi.
Gli ordini arrivati alla polizia di reprimere in qualunque modo la protesta sono un’altra chiara sconfitta di Erdogan. Negli ultimi giorni alcuni comunicati della polizia hanno cercato di trovare una giustificazione all’intervento violento con la motivazione “di ordini arrivati dall’alto”. I militari non sono intervenuti, anche perché negli ultimi 6 anni il primo ministro turco ha “purgato” completamente i vertici.
La repressione violenta è stata criticata anche dal Parlamento Europeo e dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel e la risposta di Erdogan è stata alquanto stizzita, dato che ha affermato che il Parlamento Europeo non ha alcuna voce in capitolo nel valutare gli interventi interni al paese turco.
Erdogan ha inoltre voluto spezzare la Turchia in due fazioni. Quella “buona”, con i principi islamici e quella che il suo partito rappresenta, contro i giovani “alcolizzati” e i “terroristi” che scendevano in piazza a protestare. Definire terroristi quella metà della popolazione turca che ancora oggi protesta in maniera pacifica in piazza Taksim contro leggi che invadono le libertà personali è stato un grave errore.
Questo atteggiamento di Erdogan inoltre è stato in forte contrasto con quanto indicato dallo stesso primo ministro che si è sempre definito il leader di tutti i turchi. Chiaramente questa sua “missione” è fallita miseramente nel momento in cui ha cercato di dividere le due anime della Turchia.



Anche nei confronti dei paesi arabi la reputazione di Erdogan ha avuto un forte calo, perché il suo Governo ha utilizzato gli stessi mezzi di repressioni utilizzati dai dittatori che c’erano prima della protesta. Un uso esagerato della forza e al contempo un controllo dei social media che alcuni ministri del Governo, avrebbero voluto che fosse stato ancora più forte. Gli arresti di attivisti solamente per avere “incitato” la protesta via twitter è stato l’ennesimo autogol clamoroso del premier turco.
Da un punto di vista interno, il premier ha perso l’appoggio dei curdi, che erano gli possibili alleati nella riforma della Costituzione al fine che il primo ministro potesse diventare il presidente della Repubblica con forti poteri all’americana. Dopo questa protesta e la reazione pessima avuta dalla polizia turca e dal Governo in generale, Erdogan è uscito dunque sconfitto sia da un punto di vista interno che esterno.
È riuscito a perdere posizione in tutti i sondaggi, almeno dieci punti in tre settimane e l’appoggio dei curdi nel processo di cambiamento della Costituzione e si è allontanato politicamente dall’Unione Europea e al contempo dai paesi arabi.
La protesta comincia dunque ad ottenere dei forti effetti sul Governo che non ha saputo gestire in maniera democratica la situazione.

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