L’altro ieri il presidente Barack Obama ha espresso la sua opinione a proposito di amore e matrimonio, a seguito della decisione della Corte Suprema di cancellare il Defense of Marriage Act (Doma). “L’amore è amore”, ha cinguettato sull’account presidenziale di Twitter. Tutto qui. Insomma, perché tutte queste storie da millenni? “Fate l’amore, non la guerra!“
Per esser chiari, la sentenza di ieri non ha reso costituzionale il “matrimonio” omosessuale. La sentenza ha dichiarato incostituzionale quella parte del Doma, approvato nel 1996, che impediva alle coppie omosessuali, il cui matrimonio era stato riconosciuto dallo Stato in cui vivevano, di usufruire dei benefici riconosciuti dalla legge federale alle altre coppie sposate. La maggioranza (costituita, presumibilmente, dai giudici di “sinistra” più il “voto oscillante” del giudice Anthony Kennedy) ha posto una sorta di ipotesi di “federalismo” passivo, “lasciando che siano gli Stati a decidere” (per inciso, su queste basi anche il senatore Rand Paul, un libertario del Tea party, si è dichiarato a favore della decisione).
Nello stesso tempo, tuttavia, la medesima maggioranza ha truccato i dadi per la prossima battaglia legale – la costituzionalità del matrimonio omosessuale in sé – affermando che il difetto fondamentale del Doma era la sua “deprivazione della equa libertà delle persone”, con “lo scopo e l’effetto di creare disparità” e offendere la “personalità e dignità” delle coppie omosessuali. Il giudice Antonin Scalia, in rappresentanza della minoranza, ha letto il suo fermo dissenso da una decisione che ha la pretesa di non decidere nulla mentre decide tutto in anticipo.
“Ci vuole una bella faccia tosta della maggioranza odierna per assicurarci, mentre esce dalla porta, che qui non è in discussione una necessità costituzionale di dare riconoscimento formale alle coppie omosessuali, quando ciò che ha preceduto questa assicurazione è una lezione sulla superiorità del giudizio morale della maggioranza in favore del matrimonio omosessuale rispetto all’odioso giudizio morale del Congresso contro di esso… Dichiarando formalmente che chiunque si opponga al matrimonio omosessuale è un nemico della dignità umana, la maggioranza arma nel migliore dei modi ogni ricorrente contro una legge statale che restringa il matrimonio alla sua definizione tradizionale”.
Il problema è, ovviamente, molto più grande del dibattito che lo riguarda, sia che i giudici debbano “legiferare dall’alto” o “lasciare che decidano gli Stati”. Dovremmo forse “rimandare agli Stati” la decisione se le persone di colore sono o non sono esseri umani? In gioco è la natura umana, e questa include lo status della corporeità umana, della differenza sessuale, del fatto che i bambini sono concepiti da un padre e da una madre. Non si vota su questo, nemmeno in democrazia. Per ironia, è stata la lobby gay a far appello ad una sorta di “legge naturale”, quando il matrimonio omosessuale è stato vietato in California (“Proposizione 8”), affermando che un diritto così naturale come il matrimonio non poteva essere sottoposto al voto popolare!
Il punto, quindi, è cosa e chi siamo noi? La risposta della cultura dominante, come sappiamo, è diventata progressivamente negativa, senza contenuto. Siamo il prodotto della nostra volontà, “liberati” dal peso del nostro passato, delle nostre ascendenze, delle nostre tradizioni e, soprattutto, l’uno dall’altro. E andiamo avanti (“speranza”), ricreando noi stessi secondo i nostri desideri (“e cambiamento”): avanti!
Questa non è una storia nuova. Per molto tempo abbiamo guardato a noi stessi solo come individui e portatori di diritti astratti nel nostro “stato naturale”. La famosa dichiarazione del citato giudice Kennedy nel caso Planned Parenthood vs. Casey (1992) dice tutto a tal proposito: “Al cuore della libertà è il diritto di definire il proprio concetto di esistenza, di significato, dell’universo e del mistero della vita umana”. Questa dichiarazione ci dà un’idea di cosa “vita, libertà e ricerca della felicità” hanno voluto dire per un lungo periodo e cosa di sicuro significano oggi.
Ciò che si percepisce ora come una rivalsa, comunque, è che tutto si sta giocando sul piano del corpo umano, l’ultimo baluardo di resistenza al progetto dell’io moderno. Essere incarnati ci chiede di riconoscere che troviamo noi stessi in relazioni che non sono il prodotto di una scelta e che invece, ci costituiscono. Essere in un corpo è riconoscere che siamo quello che siamo in virtù di un altro (diverso) e che il nostro compimento è legato al “rischio” che assumiamo con lui o lei. Nel corpo, non siamo un prodotto nostro, il prodotto dei nostri voleri. E la nostra felicità non è “come noi la definiamo”.
Le decisioni prese ieri dalla Corte Suprema, ma anche decisioni precedenti (sul divorzio e l’aborto) e altre che si prospettano negli anni a venire (sul “diritto” delle coppie omosessuali ad “avere figli”, attraverso “l’uguale diritto di accesso” alle tecniche di riproduzione artificiale) possono essere tutte comprese come mosse per superare l’ultima frontiera di resistenza a quella che Papa Benedetto ha definito la “dittatura del relativismo”.
È chiaro che il bene dei figli, che ora saranno certamente separati da almeno un genitore, se non da tutti e due, non sarà avvantaggiato da quest’ultima decisione, come non lo è stato dalle precedenti. Ed è dubbio che lo sia il bene dei loro “genitori”. Talvolta l’amore non è amore, talvolta è guerra.
In risposta alla decisione di ieri, i vescovi degli Stati Uniti hanno parlato di “decisione tragica”.
“Il bene comune di tutti, specialmente dei nostri figli, dipende da una società che lotti per difendere la verità del matrimonio. Adesso è il momento di raddoppiare i nostri sforzi nel testimoniare questa verità. Queste decisioni sono parte di una discussione pubblica di grande importanza. Il futuro del matrimonio e il bene della nostra società sono in bilico”.
Dobbiamo notare che i vescovi non hanno fatto come molti protestanti, che si rifanno subito al “piano divino” o a “ciò che la Bibbia dice”. Hanno fatto ciò che Gesù fece quando si trovò a discutere sul matrimonio con i Farisei. Hanno fatto riferimento “all’inizio”, alla creazione iniziale di Dio che creò l’uomo maschio e femmina, ma hanno fatto anche riferimento “all’inizio” nel cuore dell’uomo, per cui ognuno, uomo, donna, bambino, può conoscere, in linea di principio, la verità della propria umanità, corpo e anima.
Ciò detto, non è mai stato facile capire tutte queste cose, perché non è mai stato facile essere un marito, una moglie, una madre, un padre, un figlio. Come suggeriscono i vescovi, per poter capire tutte queste cose ci vogliono testimoni della più profonda verità del cuore dell’uomo.