Con l’elezione della Presidente Dilma Rousseff, il Brasile ha voluto accelerare il processo che da un decennio lo sta portando ad essere una grande potenza sulla scena internazionale. Molte iniziative di impatto mondiale già definite hanno avuto un nuovo impulso: Rio +20, Giornata Mondiale della Gioventù, Coppa delle Confederazioni, Coppa del Mondo Fifa, Giochi Olimpici, la lotta per ottenere un seggio permanente nel Consiglio delle Nazioni Unite, un ruolo attivo, da protagonista, tra i paesi Brics, che ha permesso di inserire esponenti brasiliani ai vertici di grandi organizzazioni internazionali come ad esempio José Graziano da Silva nominato nel 2012 direttore generale della Fao, e Roberto Azevedo nominato direttore generale dell’Omc.
L’ottima reputazione internazionale, legata alla crescita economica e al contestuale sviluppo di politiche di inclusione sociale dell’ultimo decennio, lascia quindi sorpresi gli osservatori internazionali davanti alle manifestazioni di protesta che hanno portato centinaia di migliaia di persone nelle strade delle principali città brasiliane.
Parafrasando Vaclav Havel: uno spettro si aggira per il Brasile, in Occidente lo chiamano “dissenso”.
Per chi vive in Brasile la sorpresa è stata minore, infatti questi avvenimenti si possano legare a tre motivazioni di fondo: una storico-sociale, una politico-culturale ed una economico-sociologica.
La prima motivazione (storico-sociale) è legata all’esclusione sociale. Nonostante i progressi degli ultimi anni, il Brasile è ancora uno dei paesi con le maggiori diseguaglianze al mondo (il coefficiente di Gini è ancora superiore al 0,5 contro lo 0,36 italiano), le oligarchie latifondiste, alcune forme di nepotismo, le élites politiche ristrette e le fitte reti trasversali di potere presenti sin dai tempi del colonialismo faticano ad indebolirsi riproducendosi con forme sempre mutanti adeguandosi ai nuovi contesti.
La seconda motivazione (politico-culturale) è legata ad una cultura rivendicativa che affonda le sue radici nelle forme di contrasto alla dittatura militare sfociata in una democrazia partecipativa a partire dal processo costituente del 1988, passando dall’impeachment de Collor nel ’92 fino ad arrivare alla creazione di Consigli di Cittadini nelle aree delle principali politiche pubbliche e al budget pubblico partecipativo, tutti elementi importanti di una coscienza democratica fortemente radicata nel popolo brasiliano.
Per descrivere il terzo motivo (economico-sociologico) è necessario analizzare il modello di sviluppo brasiliano e le sue più recenti conseguenze. La scommessa della politica economica del Brasile del terzo millennio è basata sull’esportazione di commodities, su una politica estera commerciale protezionistica, sull’aumento del consumo interno sostenuto da politiche pubbliche assistenziali che promuovono l’aumento “meccanico” (non legato alla produttività) dei salari e i trasferimenti di reddito alla popolazione di basso reddito.
Se questi tre elementi nel breve periodo hanno provocato un notevole miglioramento di alcuni indicatori macroeconomici (come il coefficinte di Gini, il reddito medio, il Pil etc.), dopo poco più di un decennio cominciano ad emergere alcune distorsioni economiche e sociologiche con un forte impatto sulla qualità della vita.
La politica assistenziale funzionale alla creazione di una classe media con una forte configurazione consumista, una politica estera commerciale basata quasi esclusivamente sull’esportazione di materie prime (i cui prezzi sono arrivati ai massimi livelli storici) e chiusa ad una reale concorrenza internazionale stanno provocando tre effetti negativi:
1. Un sistema infrastrutturale, educativo e sanitario inadeguato; 2. Un altissimo livello del debito delle famiglie (in Brasile si compra tutto a rate, anche le scarpe, con tassi di interesse che chiameremmo di “strozzinaggio”); 3. Una bolla del mercato immobiliare sull’orlo dell’esplosione.
Queste conseguenze sono anche dovute ad un modello in cui lo sviluppo è indotto da decisioni politiche che hanno promosso l’assistenzialismo e lasciato le nuove generazioni orfane della vita familiare e comunitaria integratrice, affascinate dal nuovo consumismo o ossessionate dal suo desiderio.
Le politiche di inclusione sociale fini a se stesse e che non promuovono un vero sviluppo della persone non corrispondono al desiderio di pienezza di chi si sente di meritare una vita migliore, allo stesso tempo la qualità di vita urbana è peggiorata in nome di eventi di prestigio internazionale che contribuiscono all’assorbimento degli investimenti che potrebbero essere destinati ai grandi settori al centro delle proteste e manifestazioni di questi giorni: salute, educazione e mobilità urbana.
Le manifestazioni e le proteste sono conseguenza di un modello poilitco-economico che non mette la persona al centro dello sviluppo, in cui lo stato è al servizio della persona, ma in cui è la persona al servizio dello stato. Le politiche di trasferimento di reddito stanno risultando un piccolo palliativo con effetti di breve periodo sul consenso politico e sull’economia del paese, ma nel medio e lungo periodo stanno provocando un ristagnamento del sistema economico (il Brasile oggi cresce poco piú dell’1%) e soprattutto un’insoddisfazione generale originata da una visione dell’uomo che vede lo stato come elemento propulsore dello sviluppo, e lascia al cittadino il ruolo di semplice strumento, snaturando così la sua origine e non prendendo in considerazione il suo desiderio ultimo di felicità.
Per concludere una citazione tratta sempre dal testo di Havel (scritto nel 1978) che pare scritta per il Brasile di oggi. “Oggi più che mai, la nascita di un modello economico e politico migliore deve prendere le mosse da un più profondo cambiamento esistenziale e morale della società: non è qualcosa che basta concepire e lanciare come il modello di una nuova automobile; se non si tratta solo di una nuova variante del vecchio marasma, è qualcosa che si può configurare solo come espressione di una vita che cambia. Non è detto quindi che con l’introduzione di un sistema migliore sia garantita automaticamente una vita migliore, al contrario: solo con una vita migliore si può costruire anche un sistema migliore”.