L’Egitto davanti all’abisso della guerra civile: oggi scendono in piazza oppositori e sostenitori del regime del presidente Morsi, in uno scenario che, come dimostrano gli incidenti e le morti dei giorni scorsi, non fa presagire nulla di buono. Uno scenario talmente inquietante che gli Stati Uniti hanno allertato una forza di pronto intervento nella base di Sigonella pronta a intervenire per portare in salvo i cittadini americani che vivono in Egitto (nei giorni scorsi negli incidenti di piazza era stato ucciso un cittadino americano). L’opposizione, guidata dal movimento Tamarod chiede le dimissioni di Morsi o almeno le elezioni anticipate, accusandolo di aver tradito lo spirito della primavera araba. Per Luigi Geninazzi, contattato da il sussidiario.net, “tra queste due anime che dividono l’Egitto in due, è da vedere quale ruolo giocherà l’esercito. Le manifestazioni di oggi ci diranno se Morsi accetterà di fare qualche passo indietro o se il Paese scivolerà nel caos, ma i militari hanno già detto che in tutto questo contesto non staranno a guardare”.



Siamo davvero a una resa dei conti fra le due anime che dividono l’Egitto?
Diciamo che questa resa dei conti non comincia oggi ma va avanti da almeno sei mesi e cioè da quando lo scorso dicembre Morsi ha decretato con un colpo di mano una nuova costituzione che gli concede poteri straordinari e ha fatto approvare velocemente con un referendum questa costituzione. Se ben ci ricordiamo è da allora che queste due anime sono alla resa dei conti. Il problema è che le violenze e il sangue a cui stiamo assistendo fanno parte di una situazione caotica che può far prevedere il peggio, una situazione molto diversa da quella che si era verificata con la rivoluzione della primavera araba.



Gli oppositori parlano infatti di tradimento dello spirito di quella rivoluzione.
Allora c’era tutta una coscienza popolare contro il regime di Mubarak che con mezzi quasi totalmente pacifici e in una posizione in cui si richiamavano i valori della dignità e della libertà è riuscita a vincere anche se con l’appoggio decisivo dei militari. Oggi la situazione è molto diversa.

Ci spieghi in che modo è così diversa.
E’ una resa dei conti che va avanti senza fine, ma dobbiamo aspettare a vedere cosa succederà oggi, se sarà un passo avanti verso la guerra civile e il caos radicalizzato o se Morsi accetterà di fare qualche passo indietro.



Gli oppositori dicono di aver raccolto ben 22 milioni di firme, una cifra che dimostra la divisione dell’Egitto. Un paese che è anche un caso unico fra i Paesi islamici per l’alto livello di partecipazione liberale e democratica, è così?  

Certamente, non dimentichiamo che i Fratelli Musulmani hanno vinto le elezioni parlamentari insieme agli estremisti salafiti, le elezioni parlamentari dello scorso anno poi annullate. Hanno vinto non con un grande successo ma quasi di misura rispetto al candidato dei militari. Seconda cosa da ricordare è che in questo anno la presidenza Morsi è scesa al punto più basso di popolarità. E anche che i fratelli musulmani sebbene molto radicati nella società hanno perso consenso. Questo ci mostra come l’Egitto sia in bilico fra queste due anime. e per questo il problema è vedere cosa succederà oggi, se Morsi accetterà o no di fare dei passi indietro.

Un Paese nel caos. 
Già, ma oltre al caos economico e sociale c’è un vuoto giuridico istituzionale pauroso. La corte suprema ha prima invalidato le elezioni parlamentari che sono andate avanti sei mesi, poi ha invalidato la commissione che ha fatto la costituzione per cui la costituzione su cui si fa forza Morsi è invalida dal punto di vista giuridico. E’ il caos totale. 

Si può capire chi fa parte invece del movimento di opposizione, il Tamarod? Tamarod vuol dire ribellione. 
E’ un movimento dai contorni indefiniti che per alcuni aspetti richiama il movimento nato in piazza Tahrir. E’ un movimento unito solo dalla una parola d’ordine come lo era quello di tre anni fa contro Mubarak: Morsi deve dimettersi o indire elezioni anticipate. Questa è la richiesta che unisce tutta l’opposizione. Ci sono dentro varie anime però lo scontro profondo è tra coloro che hanno una coscienza liberale e democratica e coloro che si dichiarano islamisti, nelle due componenti quella moderata dei fratelli musulmani e quella oltranzista dei salafiti. Lo scontro vero è questo, bisogna vedere se le cose vanno nella stessa direzione di due anni mezzo fa. 

Cioè? 
C’era un regime vecchio e cadente abbandonato dal suo alleato, l’esercito. Adesso è da vedere cosa farà l’esercito. Quando Morsi ha fatto fuori il ministro della difesa ha fatto un compromesso con i militari riconoscendo la loro ostilità verso i fratelli musulmani ma chiedendo loro di collaborare. Questo compromesso ha funzionato per un anno, ma adesso comincia a scricchiolare. Pochi giorni fa il portavoce dell’esercito ha detto: non staremo a guardare, se il paese va a rotoli interverremo come fecero durante il confronto tra la piazza e Mubarak. Sono intervenuti e hanno spinto Mubarak alle dimissioni. Ma sappiamo chela storia non si ripete due volte: quello che succederà adesso potrà essere una tragedia o una farsa. 

In questo contesto che ruolo gioca la chiesa copta? 
La chiesa intesa come gerarchia è preoccupata come tanti egiziani anche non cristiani della islamizzazione crescente e dall’occupazione del potere, due procedimenti che vanno di pari passo. I fratelli musulmani hanno occupato o stanno occupando tutti i giornali, la magistratura e tutte le strutture di potere. Moltissimi giovani cristiani sono sempre stati molto critici con i fratelli musulmani e saranno sicuramente in piazza oggi, presenti nelle manifestazioni. Ma, ripeto, il vero problema in questo gioco complicato è cosa intenderà fare l’esercito. 

Poniamo che si vada verso una auspicata svolta liberale: gli Stati Uniti, che hanno sempre avuto una posizione molto ambigua nei confronti delle primavere arabe, sosterranno questa volta? 
Gli Stati Uniti in questo quadro non hanno avuto una grande visione al di là del famoso discorso al Cairo di Obama. Sono andati al traino degli avvenimenti, hanno sostenuto Mubarak fino a quando hanno capito che era finito e adesso stanno sostenendo a malincuore il regime di Morsi perché temono i salafiti. Obama con una frase non molto ricca di contenuto ha detto che l’Egitto dei fratelli musulmani non è un nemico ma neanche un alleato. Gli Usa e il mondo stanno a guardare, la vera preoccupazione di tutti è che il paese vada sempre più a rotoli dal punto di vista economico, sociale e adesso anche politico. La violenza diffusa, il vuoto giuridico è totale in una società in ebollizione. Se adesso si apre una resa dei conti anche a livello politico non si può dire come finirà.

(Paolo Vites)

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