Il premier turco Recep Tayyp Erdogan risponde alle 250 manifestazioni contro di lui, affermando che quattro giorni di proteste contro il governo non possono essere definiti una “Primavera turca”. Nel corso di una conferenza stampa prima del suo viaggio in Marocco, ha sottolineato che le proteste sarebbero state organizzate dagli estremisti e ha accusato l’opposizione di provocare i cittadini. Ilsussidiario.net ha intervistato Jamal Jadallah, corrispondente italiano di Al-Quds.



Che cosa ne pensa di quanto sta avvenendo in Turchia?

La tendenza del partito di Erdogan va nella direzione di un’islamizzazione della società. La protesta e gli slogan si oppongono a ciò, anche se per il momento è difficile dire se si tratti di una “Primavera turca” o soltanto di una protesta contro la politica del governo.



Da dove nascono i problemi di Erdogan?

E’ la stessa politica estera a creare numerosi problemi. Da un lato manca una visione chiara per quanto riguarda il rapporto con Israele. Dall’altra tutto il lavoro fatto nei decenni passati per rafforzare i rapporti con il mondo arabo non ha portato a nessun risultato duraturo, né a livello economico né a livello politico. La presa di posizione di Erdogan contro Assad è costata di più alla Turchia che alla Siria.

In che senso?

Erdogan non è stato in grado di gestire la situazione in conseguenza della crisi siriana. La Turchia con Assad per anni ha avuto un’alleanza commerciale, con frontiere doganali aperte, interscambio sul piano del lavoro. Oggi al contrario i turchi si trovano con migliaia di profughi siriani e persone che sono cacciate dalle loro case. Ciò pesa sulla società turca.



Quali sono le proporzioni di quanto sta avvenendo?

In quattro giorni si sono contate quasi 250 manifestazioni in più di 60 città turche, quasi 2mila persone sono state arrestate, due persone sono rimaste uccise e ieri ne è stato dichiarato un terzo. L’obiettivo è quello di riaffermare la laicità della società turca contro l’islamismo del governo.

Il vero problema è l’islamizzazione introdotta da Erdogan o la mancanza di democrazia nel Paese?

Per un occidentale è difficile comprendere le difficoltà che incontra una persona mediorientale la quale vuole essere nello stesso tempo laica e musulmana. Ciò vale soprattutto nei Paesi nei quali non sono realmente confermati i principi della laicità. C’è quindi sempre il rischio di abbandonare valori come la democrazia per andare verso una maggiore islamizzazione della società. D’altra parte Paesi come la Turchia, che hanno solidi legami politici con Europa e Stati Uniti, possono sempre compiere passi in avanti verso un modello più laico di società.

 

In che senso non è facile essere nello stesso tempo laico e musulmano?

I valori cui si ispira concretamente una società devono essere legati alla sua cultura, e in questo modo può nascere una democrazia. Se la società crede in determinati valori e vive sulla base di questi valori, la legge deve essere uguale per tutti. Ciò deve avvenire senza indirizzare i cittadini verso una visione religiosa unica. Gli esseri umani sono nati liberi, e quindi devono vivere secondo il loro credo, ma sotto un regime di legalità, sotto una legge che è garantita per tutti. E’ solo a queste condizioni che si può affermare una vita democratica e laica.

 

Ritiene che un’eventuale caduta di Erdogan avrebbe anche delle conseguenze per la Palestina?

Il destino della Palestina è legato a quello di tutti i Paesi del Medio Oriente, e al senso di una società che deve poter guardare al futuro. Qualsiasi avvenimento negativo nel Medio Oriente è negativo per tutti, e nessuno può pensare di salvarsi da solo. Lo stesso Israele, che si sente così forte, deve sapere che una volta caduti i confini con il mondo arabo, neanche Stati Uniti ed Europa potranno proteggere lo Stato ebraico.

 

(Pietro Vernizzi)