Il 4 e il 5 giugno si è svolto in Vaticano un summit dedicato al conflitto in Siria, al quale sono stati inviati gli organismi caritativi cattolici presso Cor Unum, il Dicastero della Santa Sede responsabile per l’attività caritativa della Chiesa. Focus dell’incontro, al quale ha partecipato anche Alberto Piatti, segretario generale della Fondazione Avsi, è l’emergenza umanitaria in corso e i bisogni dei profughi siriani.
La crisi siriana non sembra ridurre il suo impatto devastante, aumentano i morti e aumentano i profughi. I dati ufficiali fanno venire i brividi: milioni di persone hanno abbandonato le loro case e il rischio che da un momento all’altro la crisi si armi anche in Libano o in Giordania è continuo e reale.
Avsi oramai da diversi mesi sta lavorando in quest contesto per portare un po’ di sollievo alle popolazioni profughe scappate in Libano e Giordania e sia Marco Perini da Beirut che Simon Sweiss da Amman parlano all’unisono. “Quello che sta succedendo da queste parti sembra interessare pochi, ma abbiamo bisogno di aiuto perché ogni giorno la situazione peggiora e naturalmente colpisce principalmente i più deboli a cominciare dai bambini”.
È lunga la lista che i colleghi di Avsi in Libano e Giordania fanno a chi li interroga circa i bisogni più urgenti. Acqua immediatamente e cibo, senza contare le azioni di sostegno e accompagnamento ai più piccoli, che non sono meno urgenti e importanti dei primi.
“Oggi ci sono 38 gradi e nelle prossime settimane il caldo aumenterà” dicono dal Libano. “Acqua, abbiamo bisogno di acqua, di tanta acqua. Se le statistiche dicono che servono almeno una decina di litri al giorno a persona qui i profughi ne hanno molti di meno e sovente neanche uno per bere”.
Come nel campo profughi di Marj el Kok, nel Sud del Libano dove più di mille persone vivono in tende ordinate sulle creste di due collinette: in tutto il campo si vedono due serbatoi da mille litri che qualcuno ha rattoppato dai buchi, ma di soldi per comperare l’acqua non ce ne sono.
Chiara Nava dello staff di Avsi è tanto precisa quanto determinata: “Ci servono subito almeno 11 cisterne da 10mila litri ciascuna e una volta piazzate dobbiamo fare un accordo con un’autocisterna perché ogni 5 giorni venga a riempirle. Solo così in questo campo potranno bere, lavarsi e condurre una vita quasi normale”. Chiara non lo dice, ma in giro per il Libano e la Giordania con l’arrivo del grande caldo si teme anche il colera mentre per le patologie minori il danno è già stato fatto: problemi alla pelle per le persone che non si lavano, pidocchi nella testa dei bambini e disturbi intestinali per tutti.
La scorsa settimana tre medici amici di Avsi hanno passato un’intera domenica a visitare le persone del campo di Marj el Kok e in questi giorni Avsi sta distribuendo medicine generiche, kit igienici, termometri e anche due sedie a rotelle per altrettante persone che da sei mesi non uscivano dalle loro tende. Ma non basta, “dobbiamo fare di più e meglio” dicono Perini e Sweiss, anche perché oltre all’urgenza immediata come acqua, cibo e medicine, ci sono una serie di altre cose che “o cominci a occupartene oggi o se le lasci capitare poi non si riescono a gestire”, e succede che ad esempio i bambini non vadano a scuola, o che arrivi l’inverno, ma senza gasolio da mettere nelle stufe vivere sotto ad una tenda in mezzo alla valle della Bekaa innevata è dura.
Il grido d’aiuto che parte dal Libano e dalla Giordania arriva però in Italia con l’immagine sorridente di Loulou El Eid, una ragazza scappata dalla guerra in Siria, giunta in Libano e da sei mesi chiusa in una tenda a causa di un handicap che le impedisce di muoversi. Qualche giorno fa lo staff di Avsi le ha portato la sedia a rotelle e lei ha risposto: “Adesso esco dalla mia tenda così posso vedere questo Libano che mi accoglie e ringraziare la famiglia italiana che mi ha aiutata”.
I numeri di quello che Avsi ha fatto fino ad oggi in Libano e Giordania dicono di 17.500 persone aiutate con materiali di prima necessità, 1063 persone assistite con cibo e medicinali, 600 studenti accompagnati nel loro difficile percorso scolastico con corsi di recupero, 1250 bambini e giovani supportati con attività psico-sociali e decine di attività fatte sulle singole persone per rispondere a bisogni specifici.