Il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha fatto ritorno venerdì in una Turchia scossa da giorni di sommosse contro il governo. Di fronte a una marea di sostenitori che lo hanno accolto all’aeroporto ha dichiarato: “Queste proteste devono cessare immediatamente”. E ha aggiunto in tono minaccioso: “Nessun potere tranne quello di Allah può fermare la crescita della Turchia”. Le proteste di questi giorni contro Erdogan sono spontanee, nascono dai giovani e dalla nuova middle class dei grandi centri urbani. Anche se a battersi da anni contro Erdogan è il Partito Repubblicano Turco (CHP), principale gruppo d’opposizione. Abbiamo raggiunto ad Ankara il suo vicepresidente Faruk Logoglu, parlamentare ed ex ambasciatore della Turchia negli Stati Uniti.
Per quale motivo in Turchia, un Paese economicamente florido, sono esplose queste manifestazioni contro Erdogan?
Le manifestazioni contro Erdogan sono un’espressione di frustrazione, rabbia e insoddisfazione accumulate da anni nei confronti della politica interna ed estera del governo turco. Le generazioni più giovani e la nuova classe media stanno dicendo al premier Erdogan che ne hanno abbastanza e che non intendono più tollerare il suo atteggiamento dittatoriale e autoritario nei confronti delle persone. Dopo le manifestazioni di questi giorni la Turchia non sarà più la stessa di prima. C’è stato un cambiamento fondamentale nella politica e nella società turca, perché questa è la prima volta che la società civile afferma: “Vogliamo indietro la democrazia!”.
Che cosa ne pensa di chi ha coniato il termine “Primavera turca”?
C’è una differenza fondamentale che ci distingue dalla Primavera araba, ma anche dalla Rivoluzione arancione (le proteste in Ucraina del 2004-2005, Ndr) e dalla Rivoluzione di velluto (l’insurrezione della Cecoslovacchia nel 1989, Ndr). Nessuno di questi Paesi prima della rivoluzione aveva mai avuto una vera democrazia. La Turchia al contrario è stata una democrazia, ma il governo sta muovendo dei passi per minarne le basi. Proprio per questo ciò che stanno dicendo i giovani turchi a Erdogan è: “Non hai il diritto di farlo”. Tutto è iniziato con una protesta contro la cementificazione di un parco a Istanbul.
Che cosa c’entrano gli alberi con la democrazia?
La questione del parco è stato solo lo spunto per una protesta che ha al centro temi come la democrazia, il ruolo della legge, il rispetto dell’onore, l’integrità degli individui. Il presidente del Consiglio turco Erdogan considera i dissidenti politici alla stregua dei banditi e i suoi sostenitori come una claque con il solo compito di applaudirlo.
La Turchia dai tempi di Ataturk è stato uno tra i Paesi musulmani più laici. Che cosa ne pensa dell’islamismo di Erdogan?
La Turchia è diversa da tutti gli altri Stati nel Medio Oriente, in quanto la nostra tradizione è quella di una democrazia laica. Questa è la più grande eredità di Mustafa Kemal Ataturk, il padre della Turchia moderna. L’AKP di Erdogan negli ultimi cinque anni ha invece minato la laicità della società turca, espandendo lo spazio dell’Islam e cambiando numerose norme per accordarle ai precetti islamici. Ha introdotto per esempio delle leggi per proibire il consumo di alcol in determinate situazioni. La politica di Erdogan trae origine da motivazioni religiose e settarie, e si basa su un’interpretazione particolare dell’Islam. Se gli spazi di laicità nella società turca vengono meno, la stessa democrazia collasserà. Spesso le rivoluzioni sono molto efficaci nel demolire, ma una volta salite al potere si rivelano incapaci di costruire una reale alternativa.
Che cosa farebbe il suo partito se domani dovesse prendere il potere al posto di Erdogan?
La prima cosa che faremo sarà ricostruire una genuina democrazia in tutte le istituzioni turche, assicurandoci che vi sia una separazione tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario. In particolare difenderemo l’indipendenza della magistratura, ci batteremo per l’uguaglianza di genere e per i diritti delle donne, faremo della laicità una dimensione fondamentale della politica turca. Intendiamo inoltre fare sì che la Turchia diventi uno Stato membro dell’Unione Europea e una parte stabilmente integrante della comunità internazionale.
(Pietro Vernizzi)