L’Ue, il Fmi e la Bce, ovvero la troika, hanno deciso di sbloccare il prestito alla Grecia da 5 miliardi di euro. Ma non del tutto. Sarà, infatti, spezzato in due tranche da 2,5 miliardi l’una e la prima sarà erogata solo «in funzione delle riforme che dovranno essere messe in piedi entro il 19 luglio», come ha spiegato il presidente dell’eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. Tra le riforme in cantiere era prevista quella della tv pubblica Ert, che aveva interrotto le trasmissioni l’11 giugno scorso; sarebbe dovuta rinascere in forma ridotta e privatizzata. Ma qualcosa è andato storto, e la fase transitoria sta durando più del previsto. Dimitri Deliolanes, che della Ert è corrispondente da Roma, ci spiega cosa sta succedendo.



Come procede il percorso di riforme?

No, guardi, capisco che l’Italia è la patria degli eufemismi, e ho notato che tutti gli organi di stampa hanno parlato di “riforme”. Ma si tratta di licenziamenti, e di nient’altro. In tutto il settore pubblico. Non c’è nessuna riforma.

Ci spieghi.

La troika aveva chiesto al governo di preparare un elenco dei settori in cui tagliare. Si era parlato di 20mila licenziamenti entro l’anno. Ma il governo non è riuscito a predisporre alcun piano, trovandosi di fronte a una marea di problemi legati, in particolare, alla difficoltà di toccare un’area in cui le clientele politiche sono decisamente più presenti che altrove. Pensava di riuscire nell’impresa grazie alla chiusura della tv pubblica, che sarebbe dovuta rinascere in versione ridotta, ma non ci è riuscito. Ora, deve licenziare 12.500 persone, e deve farlo entro luglio. Non avendo ancora un piano, farà dei tagli orizzontali negli enti locali e nella pubblica istruzione.



Perché l’operazione di chiusura della tv pubblica è fallita?

Anzitutto, ricordiamo che la decisione di chiudere la tv pubblica era una carta del governo di centrodestra per dar battaglia politica esclusivamente a livello mediatico. A livello di contenuti, infatti, ha le mani legate. Non può fare altro che adeguarsi alle decisioni della Merkel. Detto questo, il partito socialista, per entrare nel nuovo governo, aveva chiesto e ottenuto che nella nuova tv ci fossero 2000 dei 2600 lavoratori precedenti. E’ stato, quindi, designato un sottosegretario incaricato di condurre la trattativa. Ma sono emersi enormi problemi legali, dato che l’emittente è stata chiusa in fretta e furia, in condizioni di emergenza; il partito di centrodestra al governo, dal canto suo, sta complicando la situazione, perché pretende di condizionare il più possibile il nuovo soggetto televisivo.



Come valuta l’atteggiamento europeo?

L’Europa sta insistendo con quelle politiche di austerità che, fin qui, non hanno condotto a niente.

 

Lei come se lo spiega?

Si tratta di dogmatismo teutonico. Nell’opinione pubblica, inoltre, è montato il sospetto che ci sia un progetto di saccheggio delle risorse del Paese a un prezzo bassissimo da parte di potentati economici tedeschi (e non solo tedeschi)

 

Cosa c’è in Grecia da saccheggiare?

Un settore pubblico estremamente promettente. Penso, per esempio, alla società per l’energia elettrica. Opera a livello internazionale, ed è in attivo. E i tedeschi hanno, in essa, una quota importante, seppur minoritaria.

 

Ci parli del clima sociale.

La situazione è insostenibile. Ed è destinata peggiorare. Su un popolazione attiva di 4 milioni di persone, 1,8 milioni sono senza lavoro, mentre i tedeschi, follemente, pretendono che siano fatti altri licenziamenti.

 

Come se ne esce?

Qualcuno, prima o poi, dovrà iniziare a dire “no” alla Germania. Finora, purtroppo, non lo ha fatto nessuno, Né in Grecia, né in Italia, né in Europa.  

 

(Paolo Nessi)

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